Resta informato
Scopri tutte le notizie e rimani aggiornato iscrivendoti alla newsletter
Volley, la storia di Alessandra Campedelli: dalla nazionale italiana sorde alla nazionale iraniana
SuperAbile INAIL del 19/01/2022
La passione per lo sport sin da piccola, le esperienze con le giovanili. Grazie al figlio Riccardo, atleta sordo, entra in contatto la FSSI e diventa allenatrice della nazionale femminile sorde di volley con cui vince anche un argento Olimpico. Da pochi giorni è l’allenatrice della nazionale femminile iraniana di pallavolo: “Gli ostacoli per me sono ponti”.
ROVERETO. “Voglio ricavare il più possibile da questa esperienza, a livello professionale e a livello umano. Immagino incontrerò difficoltà, ma ho sempre considerato gli ostacoli ponti da superare. Darò il meglio, questo lo assicuro. E poi sono emozionata, sì. Sto ricevendo tanti messaggi di incoraggiamento da parte di donne: a me non pare di avere fatto una scelta particolarmente coraggiosa. Semplicemente, sono una persona che non ha paura a evolvere”. Alessandra Campedelli, classe 1974, è un’atleta, un’allenatrice e un’insegnate di sostegno e di educazione fisica: lo scorso 2 gennaio è diventata allenatrice della nazionale femminile iraniana di volley, con l’incarico di supervisionare anche la nazionale Under 17 e Under 19. “La scelta della Federazione iraniana è chiara: vuole far crescere i talenti, avvicinare la nazionale alle grandi squadre asiatiche – Cina, Giappone, Corea, che poi sono anche tra le più forti del mondo –. Il percorso è solo all’inizio, ma la strada è tracciata”.
Anche il percorso personale di Campedelli, a conti fatti, era tracciato sin dall’inizio: “Sono nata nello sport – racconta –. Alle medie praticavo qualsiasi tipo di sport – soprattutto sport di squadra – passavo tutti i pomeriggi in palestra. Ho vissuto in prima linea gli anni in cui, nella scuola, lo sport era importante. La mia passione è nata lì: passione che, poi, ho passato ai miei figli”. La carriera professionistica da atleta comincia con l’hockey su prato, che ha 14 le ha dato la possibilità di entrare nel giro della nazionale maggiore e, con essa, di girare il mondo. “E così è stato fino a quando ho incontrato il papà dei miei figli, pallavolista e allenatore di una squadra giovanile femminile. Così mi sono avvicinata al mondo della pallavolo, avevo appena concluso l’Isef, quello che è oggi il percorso universitario in Scienze motorie. Considerate la mia formazione e la mia esperienza da atleta azzurra di alto livello, ho subito trovato spazio nel Centro di qualificazione regionale del Trentino-Alto Adige: dall’inizio ha avuto l’opportunità di affiancare allenatori di alto livello nel mondo del volley femminile”.
Per più di 10 anni Campedelli ha allenato la Rappresentativa regionale femminile trentina, per poi passare, per 4 anni, in una squadra giovanile maschile: “Ero l’unica donna in uno staff tutto al maschile – racconta –. Tutti pensavano io fossi la dirigente, era difficile immaginare che io fossi l’allenatrice. Lì ho anche allenato mio figlio Niccolò, fino all’under 16, quando lui si è spostato a Cuneo”. A quel punto Campedelli passa a Verona, “dove sono rimasta 3 anni con una giovanile maschile e dove ho allenato anche mio figlio Riccardo, sordo. Nato come palleggiatore, oggi è un libero. In quel periodo, mi resi conto che la situazione cominciava a pesargli: aveva 12 anni ed era un po’ in difficoltà perché non conosceva altre persone sorde, d’altronde l’avevamo cresciuto in un mondo di udenti. Così ho cercato un contesto nel quale potesse confrontarsi”. La ricerca finisce con l’incontro con la FSSI, la Federazione sport sordi Italia: “Con Riccardo sono andata a vedere la finale del campionato italiano che quell’anno era a Brescia. Il padrino della manifestazione era il pallavolista cubano Hernández. Lui mi presentò agli organizzatori non come mamma di Riccardo, ma come allenatrice. Subito mi chiesero la disponibilità a dare una mano in una squadra bresciana di volley maschile. Accettai e, dopo un anno – era il 2016 – ricevetti la proposta di allenate la nazionale italiana femminile sorde di volley, sia senior sia Under 21. Nel 2017 c’erano le Olimpiadi”. E proprio alle Olimpiadi per sordi del 2017 in Turchia la nazionale femminile allenata da Campedelli vince il suo primo, storico, argento. Poi c’è stato, nel 2018, l’argento ai campionati Europei pallavolo sordi U21; l’oro nel 2019 agli Europei di pallavolo sordi senior e, lo scorso ottobre, l’argento ai Mondiali di pallavolo sordi.
Ma la vita di Campedelli, nelle ultime settimane, ha di nuovo cambiato direzione: “Prima della pandemia ero venuta a sapere che la Federazione iraniana cercava un’allenatrice per la nazionale femminile di volley. Mi sono confrontata con Julio Velasco – che ha allenato la nazionale iraniana maschile dal 2011 al 2014 –: lui mi ha dato la spinta a candidarmi”. Dopo uno stop di 2 anni – causa emergenza sanitaria – a fine novembre 2021 arriva la chiamata, a quel punto completamente inattesa: “Mi hanno comunicato che ero nella rosa delle 5 ‘finaliste’. C’è stato un colloquio e pochi giorni dopo mi hanno contattato per dirmi che ero stata scelta”. Così, durante le vacanze di Natale, Campedelli è volata a Teheran per conoscere l’ambiente e firmare il contratto (1 anno +1, ndr). A fine gennaio mi trasferirò là in pianta stabile. Per me sarà una bellissima parentesi dal mio lavoro principale: insegno educazione fisica e sono un’insegnante di sostegno di ruolo. So che questa esperienza mi offrirà tanti spunti da approfondire con i miei studenti una volta rientrata in Italia”.
“A Teheran vivrò nel Centro olimpico federale femminile: ho visto le ragazze e conosciuto la dirigenza, ho toccato con mano la grande volontà di promuovere e sviluppare lo sport femminile. In Iran lo sport è uno strumento di inclusione, crescita e cultura. Si investe nelle strutture e anche nelle persone, le università sono professionalizzanti. Ho conosciuto molte donne in ruoli apicali del mondo sportivo. Le atlete donne possono contare su begli impianti, buona comunicazione e tanta attenzione. Cosa ha detto la mia famiglia di questa scelta? I miei figli sanno benissimo che li ho sempre messi al primo posto, decidendo di non prendere treni che mi sono passati davanti per il desiderio di stare con loro. Adesso, però, di fronte alle mie titubanze, non hanno esitato: sono ormai grandi – hanno 20 e 22 anni – e sono i miei più orgogliosi e convinti sostenitori”.