Avvenire del 25/12/2021

La storia di Alì, che oggi lavora come infermiere a Gerusalemme: «Sono stato muto fino a 4 anni. Se oggi sono in corsia, lo devo proprio all’istituto pontificio che mi ha fatto tornare a vivere».

TERRASANTA. I medici della clinica in cui lavora lo hanno ribattezzato l’“angelo del vaccino” per il suo stile gentile e la capacità di mettere a proprio agio i pazienti. «Alzi pure la maglia con comodo», dice in un ebraico cristallino Ali Haikal a chi ha di fronte. Venticinque anni, camice bianco e mascherina sul volto, originario dei Territori Palestinesi, è un infermiere a Gerusalemme. E da mesi è in prima linea nella lotta al Covid. In pochi fanno caso al minuscolo apparecchio acustico che l’ha nell’orecchio.

Figurarsi, poi, se qualcuno potrebbe immaginare che Ali è rimasto muto fino a quattro anni: per una sordità che, seppur non totale, lo aveva imprigionato in se stesso e tenuto ai margini. Finché non ha scoperto di essere uno dei “figli prediletti di Paolo VI” ed è entrato nella scuola dei miracoli che il Papa di Concesio ha voluto a Betlemme per donare la parola ai ragazzi sordi della Palestina. Un istituto che compie cinquant’anni e che prende il nome da quell’“Effetà”, da quel grido taumaturgico di Cristo con cui ha restituito l’udito a un sordomuto lungo le strade del Medio Oriente.

A realizzare il sogno di Montini sarebbero state le suore della congregazione italiana delle Maestre di Santa Dorotea. Come suor Luciana che Ali si è trovato davanti per una visita d’emergenza nel caos della pandemia. Lei era stata una delle insegnanti che lo hanno fatto parlare. «E che mi hanno aperto al mondo», racconta il ragazzo. La religiosa non l’ha riconosciuto. «Sono stato io a capire subito che si trattava di una delle straordinarie docenti di Effetà», dice. L’abbraccio è stato a distanza, ma commosso. «Se sono qui in corsia, se ho scelto di dedicarmi agli altri, lo devo proprio all’istituto pontificio che mi ha fatto rinascere», ha confidato a suor Luciana.

È il 2000 quando Ali varca l’ingresso della scuola dove si abbatte il muro del silenzio. «Un bambino simpatico e premuroso verso i compagni di classe», ricorda suor Genita che lo ha seguito all’asilo. Quando scopre la voce, esplode. Perché a Effetà non si ricorre alla lingua dei segni, ma «al metodo orale, ben più complesso, che parte dalla lettura labiale ma che favorisce l’integrazione», spiega la direttrice suor Anastasie Teby.

«In seconda elementare Ali era così progredito che abbiamo consigliato ai genitori di iscriverlo a una scuola pubblica – ripercorre suor Genita –. Ma la famiglia ha rifiutato: credeva nel nostro progetto formativo». Sarà uno dei primi studenti a concludere il liceo nella scuola di Paolo VI che all’inizio si limitava alle elementari e negli anni si è estesa fino alle superiori.

Ali viene scelto per tenere il discorso nella cerimonia di consegna degli attestati. «Parlava un arabo così fluente e senza alcun errore che ha stupito tutti», confida la religiosa. Poi la sfida di iscriversi all’università e di frequentare il corso di scienze infermieristiche all’ateneo Al Quds di Gerusalemme. È qui che impara anche l’ebraico. Una lingua che gli spalanca le porte dei centri medici in Israele. «Effetà è il mio orgoglio e un vanto per tutta la Terra Santa», sostiene il giovane infermiere.

Un’eccellenza che è anche un laboratorio di dialogo fra le fedi. In mezzo secolo gli oltre ottocento ragazzi usciti dall’istituto sono in gran parte musulmani. Come quasi tutti gli attuali 190 alunni che vanno dai tre ai diciotto anni. E fra le aule irrompe il Natale. «I nostri ragazzi lo vivono come parte del quotidiano – afferma la direttrice –. A Betlemme è una festa nazionale che viene celebrata anche dalla comunità islamica. Condividiamo la gioia della nascita del Redentore».

Eppure sarà una solennità condita d’amarezza a Effetà dove incombono gravi difficoltà economiche, anche a causa della crisi sanitaria. «I contributi esteri, fondamentali per le attività – fa sapere suor Teby – sono crollati e i costi cresciuti anche per colmare il “deficit” dello stop alle lezioni. Impossibile per i nostri allievi la didattica a distanza. E ora dobbiamo ricorrere a più insegnanti e a più sedute di riabilitazione fonetica». Accanto alla scuola c’è la Fondazione Giovanni Paolo II, la onlus delle diocesi toscane che soccorre i cristiani del Medio Oriente. «Non facciamo spegnere questa luce di speranza», sprona il vescovo emerito di Fiesole, Luciano Giovannetti. Per aiutare l’istituto: www.sostienieffeta.org.

di Giacomo Gambassi