La Repubblica del 16.06.2020

Sveva, con ricostruzione 3d ritrova l’udito. La mamma: “Il Santobono un’eccellenza”

NAPOLI. Adesso Sveva, che tra meno di un mese compirà cinque anni, ci sente bene, proprio come i suoi coetanei, da entrambe le orecchie. Potrà andare a scuola, socializzare e giocare, restando al passo con i compagni. La piccola è stata sottoposta all’intervento eseguito al Santobono dall’Unità operativa di Chirurgia protesica della sordità infantile, centro di riferimento regionali. Entusiasta Maby, la mamma: «Sveva aveva avuto solo un ritardo nel linguaggio, ma noi abbiamo avuto fiducia nel Santobono. Appena nata l’abbiamo portata lì perché sapevamo che c’era un centro di eccellenza in questo campo e che in tanti si rivolgono a questo da fuori regione, come noi che siamo venuti dalle Marche».
Dopo l’orecchio bionico impiantato a tanti bimbi con gravissimi deficit uditivi, ancora un traguardo per il Santobono. Stavolta, sempre grazie alla tenacia e alla professionalità del primario di Chirurgia protesica della sordità infantile Antonio Della Volpe, è stato effettuato un intervento rivoluzionario. Di sicuro il primo in Italia, secondo alcuni uno dei pochi al mondo: un modello anatomico ricostruito in 3d per inserire una protesi nella sede anatomica in cui normalmente si trova l’orecchio e l’apparato che consente di udire. Alla realizzazione della procedura, un mix tra chirurgia e biotecnologie avanzate, hanno lavorato in molti. Destinataria del protocollo innovativo è dunque Sveva che, nata a Benevento, vive ad Ancona con i genitori, un fratellino e una sorellina di sei e di un anno. Lei è venuta al mondo con una rara malformazione: l’atresia auris, che significa non solo la mancanza parziale del padiglione auricolare, ma anche l’assenza del condotto uditivo esterno. «Un’anomalia anatomica come questa rende più complesso l’intervento – esordisce Della Volpe – normalmente ci sono step che guidano la mano dell’operatore per inserire una protesi acustica: sono i cosiddetti “punti di rèpere” chirurgici, cioè punti di riferimento precisi che consentono di programmare dove e come inserire una protesi nella giusta sede e in corretto rapporto con le strutture contigue». Nel caso della piccola Sveva, mancando una parte di osso (temporale), è stata progettato a tavolino un modello anatomico in plastica, realizzata su misura. Ancora Della Volpe: «Lavorare di fresa su una sezione ossea, è come incidere e scolpire un pezzo di marmo. Ma se mancano punti di riferimento si procede alla cieca e si rischia di ledere la meninge (a livello della fossa cranica media), il nervo facciale o il seno laterale (grosso vaso venoso deputato al deflusso di sangue dal cervello, ndr)
». Nasce da questi ostacoli, il lavoro svolto con l’ingegnere Luigi Iuppariello e con il neuro-radiologo Eugenio Covelli. «Siamo partiti dall’esecuzione di una Tac multistrato ad alta risoluzione che ha permesso di acquisire – continua Della Volpe – fedelmente le sezioni anatomiche. Poi, una volta elaborate le sequenze con un software, è stato possibile convertirle in immagini 3d e, infine, attraverso il computer collegato con una stampante 3d, si è arrivati alla riproduzione del modello anatomico reale. In effetti, abbiamo realizzato diversi modelli per pianificare la strategia chirurgica. Con la fresa è stata creata la loggia per la protesi ad ancoraggio osseo: la si inserisce nell’osso, dove viene fissata con viti autofilettanti. Poi, una volta suturata la cute, viene attivata la funzionalità della protesi. L’attivazione si realizza mediante una parte esterna che, attraverso una connessione magnetica, riceve il suono e lo trasforma in impulso inviato dalla sezione di protesi impiantata sotto la pelle». Il successo della procedura eviterà problemi di apprendimento e nello sviluppo cognitivo, precisa lo specialista.

di Giuseppe Del Bello