Sarda, sorda e battagliera

Sara Giada Gerini e il video che ha fatto il giro del mondo: «Non tagliateci fuori». «Venti milioni di visualizzazioni. No, non me l’aspettavo».

CAGLIARI. I numeri, a ieri, erano questi: 20 milioni e 500mila visualizzazioni, 649mila condivisioni. Il video con cui Sara Giada Gerini, armata di cartelli contrassegnati dall’hashtag #facciamocisentire , chiede che tutte le trasmissioni televisive vengano sottotitolate è un successo globale. Se lo aspettava? «Assolutamente no», giura lei. Qualche settimana fa, è stata invitata negli Stati Uniti da una fondazione (la Starkey) che dona apparecchi acustici a chi ne ha bisogno e gliene ha regalato uno studiato apposta per lei. Non solo: il 3 marzo, giornata mondiale dell’udito, dirà la sua nell’aula dei gruppi parlamentari alla Camera dei Deputati, mentre dal 21 al 26 (anche per questo era negli Usa: la base organizzativa è a Los Angeles) sarà madrina al Ferrara film festival, il primo interamente accessibile ai sordi. Sordi, sì, mentre il politicamente corretto “non udente” non le piace.

«È un termine ambiguo. La sordità è la mia identità». Non sentire, dice, non è un problema ma una condizione: «Io sono sorda oralista : i miei, quand’ero bambina, hanno scelto il metodo dell’oralismo, l’insegnamento della lingua parlata basato sull’importanza dell’espressione verbale e della lettura delle labbra, escludendo l’uso dei segni. Insomma, parlo eccome, con la mia erre francese».

Nata a Carbonia 37 anni fa, ora residente a Settimo San Pietro dopo 10 anni a Cagliari, il suo profilo Facebook rivela che ama sport (pallavolo – è stata anche nella nazionale sordi – ma anche beach volley e beach tennis), viaggi e animali.

È sorda dalla nascita?
«Si, mia madre durante la gravidanza contrasse la rosolia. A cinque anni mi hanno messo la protesi acustica e ho iniziato un percoso di educazione linguistica. Con mia madre: a Carbonia non c’erano logopedisti e a Cagliari andavamo episodicamente. La mia comunicazione principale è visiva, con la lettura labiale. Con me si può parlare normalmente: non troppo veloce ma neanche troppo piano, se no mi addormento!»

L’apparecchio acustico aiuta?
«Tanto. Sento alcuni suoni meglio e altri peggio. Se ascolto una canzone sento la voce del cantante e le note ma non capisco il testo. I suoni troppo alti non li tollero, e ascoltare tutto il giorno mi stanca. Il mio mondo preferito è il silenzio. La sera, a casa, tolgo gli apparecchi e rinasco».

L’impatto col mondo del lavoro?
«Dopo il diploma al liceo artististicoi ho frequentato l’università, Psicologia dello sport/turismo e marketing, ma a metà esami ho iniziato a lavorare in un negozio di telefonia. Un paradosso per una sorda come me!»

Funzionava?
«Ci sono rimasta 11 anni, poi mi sono licenziata. Avevo intenzione di partire all’estero e di rifarmi una vita: è stato allora che, da un piccolo post-sfogo su Facebook per l’aggiunta del canone Rai alla bolletta della luce, è nata la mia campagna. In poco tempo molte persone mi hanno risposto, così ho creato una pagina ufficiale con il video per sensibilizzare tutti al problema dei sordi».

Risultati pratici, a parte il boom visualizzazioni?
«Mi ha scritto Roberto Fico per promettermi l’impegno del Movimento 5 Stelle per migliorare il servizio di sottotitolatura».

I social le hanno cambiato la vita?
«Molto. Internet crea indipendenza. Non poter telefonare (in genere chiedevo favori) era un limite: ora grazie ai social posso comunicare a modo mio. Ma restano barriere».

Tipo?
«Gli uffici pubblici, dove la comunicazione è solo quella verbale, per esempio la chiamata di un numero quando si fa la fila. Gli aeroporti e le stazioni ferroviarie, dove gli annunci (cambio gate eccetera) vengono fatti tramite altoparlante: ho perso voli e treni. E all’università, per le lezioni, così come nei convegni, al teatro, al cinema, servono i sottotitoli. La mancanza di comunicazione visiva ci esclude dalla vita sociale. Servirebbero pazienza e sensibilità».

Tv e sottotitoli: qual è il punto dolente?
«Non poter avere l’accesso a tutti i programmi: mi devo accontentare di quelli che hanno i sottotitoli e non sempre adeguati».

Il problema non sono soltanto i film…
«Esatto. Per tanti programmi non esistono sottotitoli: telegiornale all’ora di pranzo, eventi sportivi, documentari, partite di calcio. Quelli del festival di Sanremo mi fanno venire il mal di testa: non sono in sincrono o saltano parole».

di Marco Noce

Fonte: L’Unione Sarda del 11-02-2017