Non siamo un Paese per sordi. E’ lo Stato quello che non sente

ROMA. Immaginate di trovarvi da soli in un Paese straniero, la cui lingua vi è sconosciuta e, peggio, neanche sonoramente assimilabile all’italiano. Immaginate di dover ricevere informazioni in quella lingua su come pagare una bolletta o sulla terapia da seguire per curare una patologia. Immaginate di dover assistere a una lezione scolastica in quella lingua, con l’insegnante che – da par suo – non conosce la vostra e non può tradurre per voi. Immaginate, infine, di accendere la televisione e di sentirvi tagliati fuori dal mondo perché, al di là delle immagini che scorrono sullo schermo, non avete idea di quello che lo speaker sta dicendo. Ecco, adesso potete (minimamente) comprendere ciò che le persone sorde vivono ogni giorno, non in vacanza ma per tutta la vita, nel Paese in cui sono nate e che, anzichè tutelarle, non mette loro a disposizione il minimo strumento d’integrazione. Anzi, quello che c’è, ed è pubblico, rischia di farlo chiudere.

L’Istituto statale dei Sordi di Roma (Issr), fondato alla fine del Settecento, è stata la prima scuola per sordi in Italia e, ad oggi, è l’unico ente pubblico che riveste un ruolo di supporto e formazione per la comunità dei sordi e per quella degli udenti. Quello di via Nomentana è un centro di eccellenza, con le sue attività formative (passano da qui moltissimi insegnanti), i corsi di Lingua dei Segni per udenti o di italiano e inglese per sordi, la sua “Mediavisuale” (biblioteca e archivio storico, che producono anche laboratori, documentazione ed eventi culturali per la valorizzazione della “cultura sorda”) e soprattutto con il suo sportello gratuito di consulenza rispetto ai problemi comunicativi, educativi, relazionali, psicologici e giuridici. Un genitore udente cui nasce un figlio sordo si rivolge a questo Istituto da tutta Italia. La stessa cosa fa un anziano sordo che non riesce a capire l’italiano di una mail. È stato calcolato un bacino d’utenza di oltre diecimila persone.

Era un “istituto atipico”, che la legge Bassanini del 1997 ha trasformato in “ente finalizzato al supporto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche”. Nel 2000, il Provveditorato agli Studi di Roma ha distaccato dall’Issr le scuole dell’infanzia e primaria. Però per completare la trasformazione dell’istituto in ente, dice la legge, è necessario un regolamento governativo di riordino che ne disciplini le funzioni e lo doti di nuovi organi di gestione e di una pianta organica. Peccato che, a distanza di 20 anni dalla Bassanini, il regolamento non sia mai stato redatto da alcun governo.

Cavilli meramente burocratici? Neanche per sogno (o per incubo). La mancata trasformazione ha fatto sì che i finanziamenti stanziati dallo Stato, all’Issr non siano mai arrivati. Mai, se non in un modestissimo contributo ministeriale di 40 mila euro annui per le spese vive, e solo fino al 2009. Con una direttiva ministeriale del 2005 furono stanziati quasi undici milioni di euro “per le iniziative di potenziamento e qualificazione dell’offerta formativa di integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap”. Di quegli undici, sei furono destinati agli istituti di carattere “atipico”, però con una postilla: “La predetta somma, eventualmente non assegnata ai suddetti istituti in relazione al mancato insediamento dei nuovi organi di gestione, sarà destinata ad incrementare le risorse finanziarie per l’offerta formativa di integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap e per la formazione di personale docente”. Formazione cui andava destinato un importo massimo di 550 mila euro. Traducendo: il ministero stanzia sei milioni di euro per gli istituti atipici (che sono soltanto due in Italia, l’Issr e l’istituto Romagnoli per ciechi), però non dà i soldi all’Issr perché manca il regolamento di riordino – che lo stesso governo non ha fatto, se non con un unico tentativo nel 2003 bloccato dalla Corte dei Conti –, quindi destina ad altre attività 550 mila euro di quei fondi. Il resto rimane in cassa. Altro paradosso: nel dicembre scorso il governo ha prorogato il termine per l’esercizio delle deleghe: cioè non ha fatto il regolamento, ma ha prorogato il termine per farlo.

Morale: dal 1997 ad oggi l’Istituto dei Sordi, ente statale, dallo Stato non riceve un soldo. Neanche quelli promessi dall’ex ministra Giannini nel 2016. Come ha fatto ad andare avanti finora? In parte con gli affitti: alcuni locali dell’immenso immobile di via Nomentana sono dati in locazione al Comune di Roma (per alcune classi scolastiche); altri al Cnr e ad associazioni che si occupano di sordità, con cifre molto basse; altri alla Provincia, ma solo fino al settembre scorso quando l’ente in teoria abolito se n’è andato, “lasciando danni per almeno 300 mila euro, oggetto di contenzioso”, spiega il commissario straordinario dell’Issr, Ivano Spano, nominato dal Miur dieci anni fa. Per finanziarsi l’Istituto partecipa anche a moltissimi bandi di gara europei, mette in piedi progetti, organizza corsi di formazione. Ma tutto questo adesso non basta più.

Anche perché le 22 persone che vi lavorano (tra loro otto sordi) sono senza stipendio da due mesi. Non si può parlare di dipendenti, perché sono tutti precari con Co.co.co., alcuni addirittura da 15 anni. Secondo l’ultimo “piano Madia” coloro che hanno maturato i tre anni di precariato nella pubblica amministrazione andranno assunti: finora erano state inutili le richieste di stabilizzazione giunte al Miur negli ultimi anni. La settimana scorsa i lavoratori si sono riuniti in assemblea sindacale, coordinati dalla Cgil: “Percepiamo undici mensilità, ma abbiamo le chiavi dell’Istituto – racconta uno di loro –. Non abbiamo ferie, ma senza di noi l’ente non va avanti”. Se non si interviene con urgenza, l’Istituto dei Sordi tra pochi mesi chiuderà. E adesso, pensateci, in questa storia qual è la vera sordità?

di Silvia D’Onghia

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 03-04-2017