InVisibili Blog del 11/04/2021

Tempo di pandemia, la cultura si reinventa. Emblematico è il caso dei musei, fisicamente chiusi ma visitabili virtualmente, con modalità che si avvicinano molto a quelle utilizzate dalle persone con disabilità che incontrando ostacoli a volte insuperabili, da sempre devono usare il Web per coltivare le loro passioni. Ma perché non sfruttare questo periodo sospeso per costruire una ripartenza all’insegna della piena accessibilità? Alcune esperienze dimostrano che è possibile ma cominciamo snocciolando qualche dato.

L’Italia dei musei conta un patrimonio quantificabile in quasi 5 mila istituzioni aperte al pubblico, diffuse capillarmente: in un comune italiano su tre è presente almeno una struttura museale, alcuni paesi con meno di 2 mila abitanti arrivano a contare sino a 5-6 piccole istituzioni di carattere storico-artistico (dati Istat). Le regioni più “ricche” sono Toscana (553), Emilia-Romagna (454), Lombardia (433), Piemonte (411), Lazio (357) e Veneto (304). Avviata ma ancora incompleta la digitalizzazione del patrimonio. Solo il 10% dispone di un catalogo digitale e soltanto un’istituzione su dieci è visitabile in modo virtuale. Limitato l’utilizzo di tecnologie interattive, meno della metà fornisce ai visitatori supporti come smartphone o tablet, sale multimediali, tecnologia QR Code e percorsi di realtà aumentata.

Meglio sul fronte comunicazione: oltre la metà ha un sito Web dedicato e un account sui social media. Parecchio da fare anche sul fronte accessibilità. Malgrado questo patrimonio di bellezza e cultura sia in grado di mobilitare più di 128 milioni di visitatori l’anno, nonostante il nostro Paese vanti eccellenze assolute come Pompei per tutti, il più grande itinerario archeologico fruibile del mondo, numerose realtà presentano barriere fisiche e sensoriali che impediscono alle persone con disabilità il pieno accesso delle risorse disponibili.

Appena il 53% dei musei italiani è attrezzato con rampe, bagni accessibili ed elevatori (Umbria, Emilia-Romagna, Lombardia e Lazio le più virtuose), poco più di uno su dieci (12%) offre percorsi tattili e informativi per ipovedenti e non vedenti, principalmente in Puglia, Veneto, Sardegna e Lazio, mentre per quanto riguarda l’assistenza specializzata le strutture più fruibili si trovano in Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e nella provincia autonoma di Bolzano.

L’indagine Istat non fa cenno alle barriere della comunicazione che impediscono la partecipazione alla cultura delle persone sorde. Qualcosa ultimamente si è mosso, ed è bello che sia capitato proprio nel 2020, l’anno primo della pandemia. È accaduto nel cuore dell’Emilia, a Parma, nel Museo d’Arte Cinese ed Etnografico e nel Museo Diocesano. Con il progetto congiunto Insieme al Museo, nel maggio scorso si sono aggiudicati il secondo posto nel bando promosso dal Comune nell’ambito di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020-2021. L’iniziativa che hanno elaborato si rivolge alle persone con deficit cognitivi e ai loro caregiver. Attraverso un’esperienza multisensoriale e interattiva, guidata da operatori formati appositamente, si potranno visitare gli spazi espositivi delle due realtà, concludendo il percorso con una pausa caffè insieme, per vivere il museo come luogo di convivialità. Per sedimentare il ricordo, verrà consegnato materiale fotografico da portare a casa. Va detto che entrambe le storiche istituzioni della città ducale sono da tempo impegnate in progetti di inclusione.

Le sale espositive del Museo Cinese ed Etnografico, restaurate nel 2012, sono prive di barriere architettoniche e dotate di pannelli ed espositori ad altezza adatta alle persone in sedia a rotelle; nel 2017 il Museo Diocesano è stato oggetto di un’iniziativa per potenziare l’accessibilità del complesso monumentale di Piazza Duomo a Parma, comprendente anche la Cattedrale e il Battistero, mediante un percorso tattile con modelli 3D. Finiti i tempi del museo luogo statico che conserva ed espone, oggi diventa un serbatoio che promuove l’inclusione nella vita civile, sociale e culturale, fornendo nuovi stimoli di relazione al di fuori degli ambienti di cura e domestici.

di  Stefania Delendati