A poco più di dieci giorni di distanza, per chi le ha vissute, in gara o in tribuna, staccare la testa dalle Paralimpiadi di Parigi non è semplice.  

La sensazione invasiva, dal ritiro dell’accredito all’ultima emozione prima dello spegnimento del fuoco olimpico, è stata quella di vivere in una bolla  impermeabile a pietismo, retorica e ipocrisia.
Ci si sente addosso il valore di esserci, il privilegio di toccare con mano,  il dovere di documentare e raccontare. Tra gli atleti domina la volontà di misurarsi con se stessi prima che di confrontarsi con gli altri. Si respirano gioia e delusione, prestazioni e traguardi.

Ancora una volta ha vinto l’Italia più bella per la quale va dismessa l’appendice “nonostante tutto”. Ancora una volta Paesi raccontati come esempio hanno raccolto meno.
Ancora una volta tra i nostri atleti c’è chi saluta per il segno dei tempi e chi si rivela dal nulla dirottando i riflettori su discipline vecchie e nuove.

Al termine della splendida cerimonia di apertura sono stati sottolineati da tutti valori e contenuti del discorso del Presidente del Comitato Internazionale Paralimpico Andrew Parsons. 

«Stasera inizia la rivoluzione più bella, la rivoluzione paralimpica…”

Parole diverse ma con lo stesso significato di quanto disse il suo collega Sebastian Coe all’apertura di Londra 2012, concretamente rivoluzionarie per quanto riguardò la visibilità e la comunicazione del movimento ma ancora lontane dalla svolta della promozione ordinaria dell’attività ancora oggi pesantemente sulle spalle delle singole società sportive e delle famiglie.

Ma nei 10 giorni parigini non c’è stato tempo per pensare alle parole.
Solo momenti da fermare, incontri, su è giù da navette, treni, metro e bus, stop improvvisi dettati dal sistema di sicurezza e naturalmente emozioni forti.

Non solo medaglie anzi, molte di più le storie di chi il podio nemmeno lo ha sfiorato pur mettendoci l’anima come chi ci è salito.

Un podio speciale come il balcone della splendida piscina della Defans Arena l’ha salito anzi l’ha occupato Federico Morlacchi, plurimedagliato nelle sue tre prime avventure da Londra a Tokyo passando dalla medaglia d’oro di Rio de Janeiro, per incitare e applaudire il compagno di turno in acqua, nessuno escluso, non senza il brivido di toccare a sua volta a soli 2 centesimi da un bronzo che avrebbe comunque aggiunto poco alla sua straordinaria carriera.

Come Morlacchi, Francesca Porcellato, per lei addirittura 12 le partecipazioni paralimpiche, dal tempo in cui vedere ragazzi in carrozzina in tuta in un aeroporto generava nei più la domanda: “ma voi a quale pellegrinaggio partecipate?”.

Giulia Terzi e Stefano Raimondi, compagni nella squadra del nuoto, nella staffetta e nella vita, diventati genitori nel mese di maggio. Quale miglior corredo per il loro primo genito delle  5 medaglie d’oro e una d’argento del papà, una medaglia d’oro e 3 di bronzo della mamma?

Il lungo viale d’arrivo del triathlon sul Ponte Alexandre III bagnato dalle lacrime d’argento di Veronica Yoko Plebani e della coppia Francesca Tarantello con la guida Silvia Visaggi, commosse al pari dagli splendidi compagni di squadra al traguardo.

L’immagine della mia Parigi è Yoko, una faccia e due braccia larghe che raccontano la sua storia, la sua volontà, la sua memoria nel cercare sul traguardo l’abbraccio del suo coach e dei suoi amici con occhi altrettanto umidi.

Bebe Vio che festeggia con la squadra e il suo team di art4sport i due bronzi come i due ori già suoi a Rio e a Tokyo, il mondiale di Simone Barlaam con gli altri della Polha Varese che volano sull’acqua esaltando una squadra azzurra ancora una volta vincente, generatrice di medaglie e prestazioni da urlo.

L’atletica con tre esordienti “scriccioli”  Giuliana Chiara Filippi, Riccardo Bagainie Fabio Bottazzini al cospetto di colossi, Rigivan Ganeshamoorty e poi il badminton illuminato da una meravigliosa Rosa Efoma De MarcoAntonino Bossolo nel Taekwondo, l’equitazione con Sara Morganti e il sollevamento pesi con Donato Telesca, il tiro con l’arco dell’eterna Elisabetta Mijno in coppia con Stefano Trevisani e non ultimo il tennis tavolo con ori e podi di Matteo Parenzan, Giada Rossi, Carlotta Ragazzini e  Federico Falco.
La possibilità di fermare momenti del rugby, delle bocce, di storie magiche come quelle di Cornegliani, Mazzone, Pini, Testa e Mestroni nell’handbike e della coppia Davide Bernard-Plebani, quest’ultimi stantuffi di un tandem creato dal nulla da un vulcano come il presidente del Team Equa Ercole Spada.

Nel silenzio del goalball il mantra ripetutamente diretto ai compagni del bomber brasiliano Leomon Moreno, prima di ogni attacco o difesa: “paciência e trabalho, paciência e trabalho…”.

E nell’ultima sera due acuti staordinari. Entrambi distribuiti in cento metri a qualche km di distanza. 

La staffetta mondiale in piscina e un triller conclusosi poco prima della mezzanotte allo stadio da dove sono uscite una Martina Caironi d’oro, una Monica Contraffatto con… la mano sul bronzo e la campionessa in carica Ambra Sabatini in lacrime contro un destino che oggi le ha…spostata una gamba e la possibilità di rimettersi al collo l’oro come al suo esordio a Tokyo 2021, ma in quanto al domani la sua falcata appare senza avversarie.

Unica nota triste è la bandiera che non c’è, sostituita con quella del Comitato Internazionale Paralimpico, quella degli 8 rifugiati politici tra i quali l’afghana Manizha Talashsqualficata dal CIO per aver mostrato al termine della sua gara nella disciplina new entry del breaking un drappo con la scritta “Free Afghan Women” che vale una medaglia.
Ugualmente atleti, ugualmente persone rappresentanti le 18 milioni di persone con disabilità sfollati o fuggiti dalla terra in cui sono nate a causa di guerre o violazione dei diritti umani.

Momenti visti e fermati, fino allo spegnimento del fuoco di Olimpia per la prima volta lontano dagli impianti.
Momenti che restano a prescindere, in ognuno dei nostri 140 azzurri, non solo nei 59 tornati a casa con una o più medaglie, in gran parte determinati a resettare sogni, ambizioni e nuovi obiettivi per i quali dovranno necessariamente rifarsi al mantra di bomber Moreno:” paciência e…trabalho”.

 

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