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Ipoacusia, il calo dell’udito accelera il decadimento cognitivo
Ipoacusia, il calo dell’udito accelera il decadimento cognitivo
L’Eco di Bergamo del 29/11/2020
Secondo il rapporto dell’OMS 446 milioni di persone sono affette da disabilità uditive di livello medio grave (oltre 5% della popolazione mondiale). Non sentire bene costituisce un rischio per la salute cognitiva dell’individuo che, secondo numerosi studi, non curando il problema all’udito compromette anche le proprie capacità mentali, fino a vedere aumentato il rischio di declino cognitivo precoce, talvolta associato a demenza. Correre ai ripari diventa quindi ancora più importante: due nuovi studi pubblicati sulla rivista Jama confermano l’associazione tra problemi di udito non trattati e un aumentato rischio di demenza, depressione, cadute e malattie cardiovascolari. Il primo, condotto alla John Hopkins su 154.414 adulti, mostra che problemi d’udito non trattati aumentano il rischio di sviluppare demenza del 50% e la depressione del 40% in soli cinque anni. Il secondo, associa l’ipoacusia a degenze in ospedale più lunghe, ri-ospedalizzazioni e maggiori visite al pronto soccorso. La prevalenza dell’ipoacusia aumenta ovviamente all’aumentare dell’età e oggi, in Italia, circa un terzo degli ultra sessantenni presenta una riduzione dell’udito invalidante: a fronte di queste evidenze, il tempo medio che intercorre tra diagnosi di ipoacusia e trattamento protesico riabilitativo è di circa 8 anni e solo il 3% di coloro che sono affetti da perdita uditiva accede a un trattamento per curare la sordità. Inoltre, la gravità dell’ipoacusia è direttamente proporzionale al rischio di sviluppare una demenza: «Per questo si comprende l’importanza di comunicare il rapporto esistente tra funzione uditiva e decadimento cognitivo – spiegano Carlo Cantù e Riccardo Marini, audioprotesisti di Medical Udito di Bergamo -. Numerosi studi in letteratura dimostrano un miglioramento significativo delle performance mentali negli over 65 già dopo tre mesi di utilizzo delle protesi acustiche con un rallentamento significativo del declino cognitivo legato all’età. E quando la protesi acustica tradizionale non è sufficiente si può ricorrere all’impianto cocleare».
Un problema culturale
«Anche se si pensa che la sordità sia una conseguenza naturale del processo di invecchiamento, non va né sottovalutata né ignorata anche perché è curabile – aggiunge Cantù -. Fondamentale è aumentare la consapevolezza di fronte alla perdita di udito sottolineando l’importanza di prevenzione e diagnosi. Ma non basta. Il paziente va seguito con la massima attenzione, sia per fargli superare le remore di origine culturale, che spesso abbinano il portatore di protesi acustica con l’immagine dell’anziano, sia per assicurargli la migliore riuscita del rimedio tecnologico». «Il nostro è un modello tecnico-assistenziale che mette al centro la persona, coinvolgendo nel contempo il medico e l’audioprotesista – conclude Marini -. La persona con ipoacusia, dopo la visita medica e i test di percezione e comprensione, comunica all’audioprotesista le sue esigenze, per esempio, di voler riuscire ad ascoltare finemente la musica o le parole di un oratore, magari isolandole meglio dai rumori di fondo e così via. Viene così individuata la soluzione tecnica migliore per soddisfare le sue esigenze personali. Dopo un periodo di tempo si valutano anche i miglioramenti e i vantaggi raggiunti nella vita reale. Alla fine del periodo di adattamento l’utente sceglie, in totale libertà, se acquistare o meno gli apparecchi acustici».