-Il viaggio in Costa d’Avorio del Prof. Sergio Astori per ricevere il prestigioso riconoscimento di “Scrittore d’onore” assegnatogli nell’ambito del Festival Internazionale del Libro, per l’autore delle trilogia dedicata al tema delle resilienza è andato ben oltre la cerimonia. Incontri e momenti che restano dove ancora una volta è emerso chiaramente come a far la differenza nella difficoltà sia la volontà e la determinazione di uscirne o ripartire.

 

Il riconoscimento che ha ricevuto in Costa D’Avorio nell’ambito della IX edizione del Festival Internazionale del libro, primo scrittore non africano tra i membri d’onore di “Efrouba”, è ricco di significati anche per il Continente in cui le è stato assegnato dove, pur tra tanta comunicazione la resilienza rimane pane quotidiano e fa rima con sopravvivenza.

“Direi, ancor di più – risponde Astori – Fa rima con vitalità. Lo noti subito nell’Africa Subsahariana che a brulicare per le strade dei piccoli villaggi come in quelle delle metropoli da milioni d’abitanti, è una popolazione giovane. Una popolazione che riconosce all’abilità della resilienza la dignità di virtù. Una comunità di forti legami che sceglie di utilizzare la parola Resilienza non come un vessillo da sbandierare per vezzo.

In paesi che hanno preso a correre nel loro sviluppo socioeconomico e che si misurano tanto quanto il resto del mondo con il processo della globalizzazione, il pane quotidiano si chiama apprendimento, si chiama formazione, si chiama cultura. Quando sono stato invitato come Scrittore d’Onore al Festival Internazionale del libro della Costa d’Avorio, mi sono profondamente domandato come fosse stato possibile che i miei scritti, e in particolare le parole buone, avessero destato l’interesse di altri scrittori e di un pubblico di lettori in un paese così lontano da noi e a pochi chilometri dall’equatore. Nella lettera d’invito era spiegato che il tema principale della mia scrittura, superare traumi e difficoltà con virtù, ben si inseriva in una kermesse letteraria chiamata Efrouba, che nella lingua del posto indica genericamente ogni oggetto su cui si scrive o si legge: un libro o un quaderno, per esempio.

Mi è parso subito evidente che non avrei preso parte a una vetrina espositiva programmata principalmente per convogliare nuovi e vecchi clienti verso editori e agenti.

In Costa d’Avorio, migliaia e migliaia di bimbi si sono mossi dagli istituti scolastici insieme ai loro insegnanti e, per due settimane, hanno costituito la parte più cospicua dei 20000 festivalieri. A loro, in particolare, gli autori invitati hanno dedicato specifiche conferenze sui temi fondamentali dell’alfabetizzazione e della coscientizzazione, come, per es., “parlare e scrivere bene”, “il libro e la conoscenza”, “poesia e libertà”.

Il privilegio di essere il primo scrittore non africano a ricevere gli onori del Festival Efrouba per i miei studi sulla resilienza individuale e collettiva, l’ho letto soprattutto negli occhi della popolazione giovane, in specie nello sguardo dei bambini.

Come quel bimbo di sesta (l’ultimo anno delle elementari ivoriane) che è andato deciso verso uno degli organizzatori e gli ha domandato accoratamente di far tornare l’anno venturo gli scrittori a presentare i loro libri. Ha detto che, da quando questo accade, lui ha cominciato a migliorare, mentre prima andava male in quasi tutte le materie.

Come la bimba di 5 anni che ho incontrato nel percorso dalla capitale economica Abidjan alla città lagunare di Grand-Lahou, sulla grande via che attraversa le piantagioni di palme coltivate per estrarne l’olio, e arriva fino alla Liberia. Era di fianco al chiosco dove sua madre friggeva le banane nell’olio bollente per farne allocco, un piatto tipico. Aveva in mano una verga rudimentale e indicava una scritta sul muro. Quattro parole in stampatello ricordavano che il gestore telefonico Orange effettua un servizio di money transfert: sposta l’argent, come si dice in francese. Ma l’oro della scena era lei, perché aveva a cuore che sorellina, seduta a terra di fronte a quella lavagna improvvisata, riconoscesse e pronunciasse bene le lettere la piccola insegnante stava indicando. Eccola lì la resilienza che si fa pane quotidiano, nel dono, nella semplicità e nella speranza; e tutto questo accade mentre nei continenti che si ritengono il Primo Mondo, declina ogni giorno di più il senso di comunità e partecipazione civica, e la frammentazione sociale indebolisce la resilienza collettiva”.

 

 

-Nel ricercare volontà comune di far squadra per ascoltare e comunicare,

come è nato e che senso ha il rapporto con il Pio Istituto dei Sordi di Milano di cui lei è Benemerito?

 

“La sinergia del Progetto editoriale delle #ParoleBuone con il Pio Istituto dei Sordi di Milano è nata spontaneamente. Nei giorni del lockdown nazionale, molti amici del mondo sordo mi avevano fatto notare quanto gravasse sulle persone con disabilità sensoriale un doppio livello di isolamento. Non appena nel 2020 furono istituiti punti di ascolto telefonico e servizi a domicilio per le fasce di popolazione più fragile, il Pio Istituto volle riconoscere e sostenere il nostro particolare progetto di sostegno collettivo mirato a non lasciare fuori alcuna persona da un racconto buono per lui. Siamo stati sostenuti e incoraggiati dal Pio Istituto a far circolare in rete prima e nella comunità poi, le #ParoleBuone, che altro non sono che dei brevi racconti di due-tre minuti capaci di sollecitare il riconoscimento degli elementi costitutivi della riorganizzazione resiliente. Parole e racconti pensati non per risultare buonisti, ma progettati con il preciso scopo di sviluppare alcune specifiche qualità”.

 

-Dal suo punto di vista quali sono le potenzialità e i possibili canali di un universo come quello delle persone sorde in tema di comunicazione?

 

“Ogni “parola buona” vuole essere un antidoto alla negatività, promuovendo resilienza e benessere attraverso vari canali multimediali accessibili a tutti, come video, immagini e testi in formati semplificati. Il progetto include traduzioni in Lingua Italiana dei Segni (LIS), formati “Easy-to-Read” e simboli della Comunicazione Alternativa e Aumentativa (CAA), il che lo rende adatto a un pubblico molto ampio, compreso quello delle persone sorde. In particolare, per l’universo delle persone sorde, #ParoleBuone sfrutta sia la LIS sia sottotitoli professionali nei video, rendendo i contenuti facilmente fruibili. Questo approccio valorizza l’inclusività, eliminando barriere e promuovendo la comprensione.

Oggi il Progetto prosegue a vele spiegate. Con il supporto di molti altri sostenitori che hanno seguito l’esempio del Pio Istituto, a partire dal giugno 2023, il metodo delle Parole Buone è stato applicato all’interno dei Laboratori di resilienza, spazi di incontro in cui facciamo sperimentare agli studenti di ogni grado scolastico e ai ragazzi che frequentano oratori e centri di aggregazione, che cosa significhi giocarsi nella relazione con il corpo, con il gesto e, perché no, anche con il silenzio”.

 

-Lei parla spesso di termini assai rari soprattutto tra le nuove generazioni: pazienza, perseveranza, fiducia. Sempre citandola, quali sono le “Parole buone” …e giuste perché all’interno di una società come l’attuale la resilienza sia appresa e intesa come “capacità individuale, ma anche fenomeno collettivo”?

 

“Molte parole buone, in effetti, hanno un sapore rivoluzionario rispetto alle parole più utilizzate nella comunicazione comune e di quella social dentro la quale sono nati i giovani d’oggi. Lo sforzo che sosteniamo con il progetto #ParoleBuone è quello di attualizzare alcune dimensioni che la tradizione psico-socio-pedagogica ha riconosciuto come essenziali, ma che hanno necessità di essere riscoperte nella modernità. Faccio alcuni esempi:

Speranza: forza motrice per costruire un futuro migliore.

Libertà: fondamentale per il raggiungimento dell’autodeterminazione.

Coraggio: emblematico della resilienza e delle battaglie per i diritti nella storia e ancora oggi.

Empatia: un pilastro per favorire il rispetto e la comprensione tra gli esseri umani.

Dignità: rappresenta il diritto di qualsiasi persona a essere rispettata e valorizzata.

Solidarietà: promuove l’unità nella comunità e la coesione sociale per raggiungere obiettivi comuni.

Resilienza: simboleggia la capacità di affrontare e superare le avversità.

Rinascita: un augurio di rigenerazione e crescita dopo momenti difficili, come la pandemia o situazioni di disuguaglianza.

Tenacia: importante per perseverare nella lotta per i propri diritti e aspirazioni.

Autenticità: incoraggia a vivere e mostrarsi per ciò che è, senza maschere.

Passione: la dedizione nel perseguire i propri sogni e ideali.

Generosità: la capacità di condividere e aiutare chi ne ha bisogno.

Gratitudine: un valore che ispira riconoscimento verso chi ci ha sostenuto.

Gentilezza: essenziale per costruire relazioni rispettose e significative.

Premura: il prendersi cura degli altri come valore sociale e personale.

Partecipazione: importante per incoraggiare l’impegno nella vita pubblica.

Creatività: la capacità di innovare e trovare soluzioni originali.

Abbraccio: il simbolo del sostegno reciproco, vitale per l’unione.

Rarità: rappresenta l’unicità e la speciale bellezza di ciascun essere umano.

 

Di fronte a questa lista di Parole Buone, chiunque può verificare che si tratta di termini in controtendenza rispetto a quanto viene raccontato nelle notizie e nei post che di solito leggiamo. Eppure, in un tempo di “crisi permanente” come il nostro, sono così necessarie che finora abbiamo ripresentato e condiviso più di cento buone parole (https://www.parolebuone.org/le-parole-buone/). Tutti, sia che si appartenga alle nuove o alle vecchie generazioni, abbiamo bisogno di incrociare un messaggio di incoraggiamento e un invito a realizzare le parti più originali di noi stessi, potendo così contribuire ad arricchire il mondo intero di sprazzi di umanità sempre più intensi e contagiosi”.