Avvenire del 12/04/2022

ROMA. Lo scorso 22 novembre i 20 dipendenti dell’Istituto statale per Sordi di Roma avevano manifestato insieme ai sindacati per i ritardi nei pagamenti degli stipendi, non versati da sei mesi. E ieri a tornare a lanciare un grido di allarme per il rischio chiusura sono state le associazioni che operano all’interno della sede di via Nomentana 56. E lo hanno fatto con una lettera appello – firmata dal coordinamento di cui fanno parte ANIOS (Associazione interpreti di lingua dei segni italiana), CABSS (Centro assistenza per bambini sordi e sordociechi onlus), Gruppo Silis, la società cooperativa Il Treno e la compagnia teatrale Laboratorio Zero – in cui hanno chiesto di rilanciare l’istituto, avviando «un tavolo di consultazione con i ministeri, i rappresentanti della Conferenza Stato Regioni, le organizzazioni sindacali e la commissaria straordinaria per individuare fondi e forme di finanziamento», in attesa che «con la riforma del settore siano individuati canali di finanziamento strutturali e stabili per avviare i lavori di riforma dell’ente e riconoscerne la natura di ente di ricerca», come prevede una legge del 1997.

«Siamo preoccupati per il futuro dell’istituto», sottolinea Virginia Giocoli, la portavoce del coordinamento delle associazioni a cui è stato chiesto di pagare un canone di locazione per le stanze che utilizzano. Inoltre, le associazioni sono state convocate in forma singola il 7 aprile, ma non si sono presentate, perché «chiediamo di sederci tutti intorno a un tavolo per un confronto collettivo. Vogliamo il dialogo e chiediamo che venga adottato il regolamento». Anche perché senza una riforma a pagarne le conseguenze saranno «la comunità sorda e le loro famiglie, che perderebbero un indispensabile punto di riferimento – sottolinea ancora l’avvocato Giocoli – essendo lo storico istituto da più di due secoli l’unico ente pubblico ad occuparsi di sordità, come pure i dipendenti del centro da mesi senza stipendio».

Una questione che «è al centro del mio lavoro da quando sono stata nominata a novembre», assicura da parte sua la commissaria straordinaria Isabella Pinto, che proprio ieri pomeriggio ha avuto un incontro all’Ufficio scolastico regionale, «per trovare una soluzione per salvare l’istituto e i suoi dipendenti ». Inoltre le associazioni, assicura, «sono state convocate tutte insieme come chiedono il 26 aprile alle 10 in via Nomentana, dove ci sarà anche il responsabile dell’Ufficio scolastico regionale in rappresentanza del ministero». A loro era stato chiesto a marzo un canone di 500 euro, «che stanno pagando regolarmente, come contributo simbolico alla gestione dell’istituto », anche perché – sottolinea ancora la preside dell’Istituto statale Magarotto, a cui la sede di via Nomentana 56 è stata accorpata nel 2000 – «sento umanamente ed eticamente il peso di risolvere la situazione di lavoratori che non vengono pagati da mesi, anche se non l’ho generata io. Sto lavorando per non far chiudere nulla».

Un allarme che «preoccupa» comunque il presidente del municipio Roma VIII, Amedeo Ciaccheri e i consiglieri capitolini di Sce, Michela Cicculli e Alessandro Luparelli, per cui «Roma non può e non deve perdere questa straordinaria presenza». L’istituto non può chiudere, aggiunge il consigliere capitolino Paolo Ferrara (M5s), che chiede alle istituzioni di «ascoltare questo grido d’allarme».

di Alessia Guerrieri