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I bambini nati sordi lo screening è possibile: “La Puglia nella media”
La Repubblica del 03.03.2020
I bambini nati sordi lo screening è possibile: “La Puglia nella media”
BARI. Vivere in un mondo silenzioso e a volte incomprensibile, una sorta di immenso acquario. È questa la sensazione che provano decine di migliaia di pugliesi. Tante sono le persone sorde o con deficit uditivo che vivono in regione. Si tratta di bambini e adulti. Fra questi ci sono circa 350mila persone di età superiore ai 70 anni che hanno deficit uditivi (e che andrebbero trattati sempre con l’applicazione di protesi o impianti cocleari, visto che è stato dimostrato che la perdita di udito può favorire lo sviluppo di deficit cognitivi) ma anche tanti piccoli che affrontano il problema della sordità dalla nascita. Un numero preciso non c’è. I dati più dettagliati sono quelli forniti dall’Inps. Si tratta di dati relativi alle domande di invalidità presentate. Non tutte le persone sorde tuttavia fanno domanda all’istituto di previdenza sociale. E oggi si celebra la Giornata mondiale dell’udito.
Detto questo, è importante riconoscere il problema della sordità fin dalla nascita. Per questo è fondamentale la diffusione dello screening uditivo neonatale, che si effettua all’incirca nel secondo giorno di vita del bambino e permette di identificare la maggior parte delle cause di sordità. Una pratica che in Puglia è effettuata da circa 10 anni grazie all’impegno dei medici sul campo. Impegno e volontà, visto che ancora oggi la Regione – che negli anni ha fornito gli ospedali pubblici di tutte le apparecchiature necessarie per effettuare l’esame – non ha previsto alcun obbligo di screening su ogni nuovo nato in Puglia: “Oggi però quest’esame viene effettuato sul 95 per cento dei bambini nati in regione – conferma Nicola Quaranta, direttore dell’unità operativa complessa di Otorinolaringoiatria universitaria al Policlinico di Bari – in questo modo siamo sostanzialmente allineati al numero di screening effettuati nelle altre regioni”.
Il tasso di bimbi nati sordi è sostanzialmente simile a quello registrato a livello nazionale. In Puglia su 40mila nuovi nati, circa 40 sono affetti da ipoacusia, una diminuzione della capacità uditiva causata da un danno di una o più parti del sistema uditivo. “La causa più comune è di origine genetica – spiega il professore Quaranta – si chiama ereditarietà autosomica recessiva e si verifica quando entrambi i genitori sono portatori sani di una mutazione in un gene localizzato sul cromosoma 13 e contenente le informazioni per una proteina, la connessina 26, essenziale per il funzionamento della coclea. La sua assenza causa una mancata trasmissione dell’impulso nervoso e, di conseguenza, una ipoacusia bilaterale congenita”. A questi bisogna aggiungere poi i bambini che diventano sordi per alcuni fattori di rischio: ” Prevalentemente si tratta di bambini costretti a stazionare per un periodo più o meno lungo in terapie intensive neonatali. In questi casi la prevalenza di sordità è del 2 per cento”.
Dopo la diagnosi i bambini vanno incontro a un trattamento protesico precoce o all’applicazione di impianti cocleari. ” Sui bambini con sordità grave-profonda che impedisce la normale acquisizione del linguaggio solitamente per ottenere i migliori risultati vengono applicati impianti cocleari bilaterali che permettono un recupero uditivo e soprattutto una normale acquisizione del linguaggio”. Una pratica che in Puglia si effettua dalla metà degli anni Novanta, ma che – come accade per le altre terapie più all’avanguardia – viene in alcuni casi rifiutata dai genitori. “Le famiglie di sordi e sordomuti – spiega ancora Quaranta – vogliono mantenere la loro identità che si esprime soprattutto con l’uso del linguaggio dei segni, ma sarebbe meglio se prima riabilitassero l’udito”.
I controlli. Un esame per l’udito. Gli screening confermano il forte aumento nella popolazione anziana ma è necessario controllare in modo capillare anche i bambini. Lo screening è possibile e si fa ma non è obbligatorio jIl direttore Il professor Nicola Quaranta dirige l’Unità operativa del Policlinico di Bari.
di Antonello Cassano