Essere CODA: intervista a Veronica Battistello 
Vivere Fermo del 02/06/2021

BERGAMO. CODA (Children of deaf adults) è un acronimo internazionale nato negli Stati Uniti nel 1983 e scelto per indicare i figli udenti di genitori sordi. Veronica Battistello è nata in provincia di Bergamo nel 1991. Ha un fratello gemello e un fratello minore. Da piccola non aveva idea di cosa fosse la Lingua dei Segni. Comunicava con i genitori attraverso quelli che credeva fossero “gesti”, non “Segni” appartenenti a una lingua vera e propria. Non sapeva nemmeno che il canale comunicativo che usava con loro fosse in realtà una lingua e non un linguaggio o un codice gestuale. Ha sempre interpretato per dar loro una mano e per rendere più fruibile la comunicazione tra le parti, sorda e udente. Fu suo padre, nel 2005, a convincerla a partecipare a un corso di sensibilizzazione alla LIS presso l’ENS di Bergamo. Scoprì allora che lo studio della LIS la interessava molto. Ha compreso di poter essere un aiuto concreto per i Sordi. Tradurre le riusciva bene, senza costarle troppa fatica. A seguire ha frequentato il primo livello LIS, sempre a Bergamo, e il secondo livello a Brescia. Successivamente ha deciso di non proseguire con il terzo livello poiché non avrebbe voluto affrontare maturità e corso LIS insieme. Ha ripreso con lo studio della LIS soltanto nel 2016. Aveva le idee più chiare e l’obbiettivo di diventare interprete LIS. Per cui nel 2017, terminato il terzo livello, ha frequentato un corso di assistente alla comunicazione organizzato dall’ENS di Bergamo. Qualche mese dopo aver iniziato, la bella notizia: a Brescia, nel 2018, sarebbe partito un corso interpreti. Ciò avrebbe significato portare avanti due corsi contemporaneamente, sebbene per qualche mese, ma era assolutamente decisa a terminare questo percorso di studi. Durante i primi mesi del corso interpreti ha scoperto di essere incinta e ad agosto 2020 sono arrivati anche due gemellini. Nell’ottobre dello stesso anno ha finalmente conseguito il titolo di interprete LIS.

1. Cosa significa per te essere CODA?
Non ho realizzato da subito la fortuna di essere CODA. Inizialmente lo vedevo come un dovere: interpretare qualsiasi cosa per i miei genitori, dal colloquio con le maestre alla visita in ospedale, ai programmi in tivù. Mi facevo carico dei loro problemi, entravo nel merito di ogni cosa, insomma, alla mia età, lo ritenevo anche troppo. Eppure ci mettevo (e ci metto tutt’ora) tanto impegno, davo sempre loro un aiuto, anche quando non ne avevo voglia. Iniziai poi a frequentare i corsi LIS e realizzai che in realtà crescere in una famiglia di Sordi è stata una grandissima opportunità. Crescere bilingue è sicuramente un’esperienza unica e vantaggiosa. Sin da piccola vedo la realtà e ciò che mi succede intorno in modo diverso, da più prospettive, senza rendermene conto.
Per me essere CODA è vivere due mondi in uno: da un lato, il mondo udente in cui mi identifico, dall’altro quello sordo, in cui mi ci sono ritrovata sin dalla nascita e che sento mio.
Significa aver passato da bambini interi pomeriggi all’ENS (Ente Nazionale Sordi), mentre i miei genitori partecipavano alle assemblee. Ma significava anche poter urlare o cantare a squarciagola con i miei fratelli perché, ironizzando, “tanto mamma e papà sono sordi”.

2. Come e quando sei stata esposta all’italiano?
Praticamente sin da subito. Fino a 6 mesi ho vissuto in casa dei nonni paterni; loro ci tenevano che imparassimo a parlare. Nonna, poi, mi ripeteva sempre con molto orgoglio che a due anni le parlavo al telefono per chiederle se ci ospitasse a pranzo.

3. A scuola o in altri contesti ti sei mai sentita diversa dagli altri?
A scuola sì. Ti senti diverso. Soprattutto nel momento dei colloqui. I tuoi compagni sono fuori a giocare e tu in aula a dover interpretare per i tuoi genitori. Ricordo molto bene l’imbarazzo di maestre e professori che non sapevano se guardare me o i miei genitori mentre parlavano del mio andamento scolastico e di quello di mio fratello. Oltre a ciò ricordo qualche professore che controllava che la traduzione fosse fedele a quanto stesse dicendo.
Ricordo anche che, da piccola, mi vergognavo a segnare con i miei genitori in pubblico; per esempio mentre eravamo in qualche sala d’attesa per una visita, in treno o al supermercato. Poi crescendo, ho realizzato che era del tutto normale comunicare con loro segnando: è la loro e la mia lingua madre. Inoltre posso comunicare con loro anche se sono distanti da me, senza sgolarmi. L’unico problema è riuscire a catturare la loro attenzione se non ti stanno guardando… alle volte è una “mission impossible”!

4. Cosa apprezzi maggiormente della cultura sorda?
Apprezzo la loro schiettezza. Se devono dirti qualcosa, vanno dritti al punto, senza troppi giri di parole.
Ma apprezzo moltissimo anche la Lingua dei Segni, il poter comunicare attraverso il volto, le mani, il corpo. È una comunicazione a 360 gradi. Mi è di aiuto anche quando sono con gli udenti: spesso e volentieri percepisco i loro stati d’animo, le loro sensazioni, senza che me ne parlino. La LIS è di aiuto anche per i bambini che non hanno ancora iniziato a parlare! Mio figlio a 9 mesi segnava “latte” quando lo voleva, ed è straordinario!

5. Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
Gli studi dimostrano che l’acquisizione incidentale di LIS e Italiano, così come anche di altre lingue vocali o dei segni, fin dalla tenera età, è un enorme vantaggio. Migliora la memoria, la mente è più flessibile, è più predisposta all’apprendimento, alla modalità multitasking. Si padroneggiano entrambe le lingue con la stessa facilità di una lingua madre, e si riesce a tradurre senza sforzo ed esitazioni anche frasi dalla struttura complessa. Ciò che non viene compreso in una modalità, può essere compreso nell’altra, e viceversa. Si ha accesso a due culture, si ha capacità di vedere le cose da diverse prospettive, si visualizza ciò che viene detto.

6. Diventare Interprete LIS e Assistente alla Comunicazione: scelta o senso del dovere?
Un po’ entrambi. Inizialmente mi dicevo: “Se non io, chi?” Mondo udente e mondo Sordo sono radicati in me sin dalla nascita.
Dopo aver iniziato i corsi LIS e aver “scoperto” che la LIS era una vera e propria Lingua e che è la mia lingua madre, ho scelto di approfondire e perfezionare le mie conoscenze sempre più fino ad oggi.

7. Com’è cambiata la tua professione ai tempi del Covid-19?
Ho sostenuto l’esame di qualifica di interprete in tempi di Covid-19! Scherzi a parte, sicuramente è cambiata molto rispetto all’interpretariato in presenza. Diciamo che mi sono adattata alla situazione. Ci sono vantaggi e svantaggi in questo cambiamento.
Il servizio di interpretariato avviene a distanza e il vantaggio è quello di non spostarsi da casa, per il resto tanti svantaggi: alle volte è difficile trovare uno spazio adeguato, con la giusta illuminazione e una parete neutra (per quello ho dovuto acquistare un pannello a sfondo monocromatico, così come molti miei colleghi); è necessario avere una connessione internet stabile e veloce; c’è meno possibilità di gestire l’ambiente, si è totalmente fuori dal contesto comunicativo, possono insorgere problemi tecnici, ma soprattutto è necessario un ambiente silenzioso e con tre bambini non è così scontato!

8. C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
Ce ne sarebbero diversi di episodi da raccontare! Mi fermerò a due.
Erano i primi colloqui con i professori e mia madre ha voluto che fossi presente per interpretare ciò che avrebbero detto. Bene, niente di più facile. Tuttavia la professoressa di Inglese non accettava assolutamente che fossi presente. Ho provato quindi a uscire dalla stanza. Fatto sta che la prof.ssa in questione parlava con le labbra talmente serrate che mia madre provava a leggerle il labiale, ma proprio non riusciva! In un momento di nervosismo la prof.ssa ha alzato la voce per parlare con mia mamma, ma ovviamente non ha ottenuto nessun risultato. Scoraggiata, ha richiesto poi il mio intervento.
Mentre quello che sicuramente mi fa più sorridere in assoluto è quando ho iniziato a convivere con mio marito. Abituata come ero a visualizzare e a segnare dove si trovasse qualsiasi cosa, ho fatto una faticaccia a cambiare lingua (usare l’italiano anziché la LIS) e a dover esprimere a parole, ciò che in segni mi veniva così facile e immediato. Con i miei genitori, se qualcuno cercava qualcosa, segnavo il mobile in cui si trovava l’oggetto, indicavo la mensola, e pure se ciò che cercava si trovasse a destra o sinistra. Ma rendere a parole tutto ciò che visualizzavo nella mente mi sembrava dispendioso e inutile. Col tempo però mi sono abituata.

9. Pensi che il riconoscimento della LIS possa essere davvero risolutivo in termini di servizi e di accessibilità per le persone sorde?
Sicuramente sì. Caspita, eravamo l’unico paese in Europa a non aver ancora riconosciuto la Lingua dei Segni. Una vergogna!
Cito l’art. 3 della Costituzione Italiana: […] È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Il Sordo sarebbe più integrato, sia a livello sociale sia a livello scolastico, e avrebbe maggiore accessibilità alle informazioni e ai servizi. Inoltre il lavoro di interprete LIS e Assistente alla Comunicazione avrebbe il riconoscimento che si merita.
Il Mondo dei Sordi è un gruppo etnico e non un gruppo di disabili. [Harlan Lane, 2005]

10. Qual è il tuo motto?
Non è proprio un motto ma un mio pensiero fisso: “Sorridi sempre e sii gentile verso il prossimo.”
Nel corso della vita ognuno affronta ostacoli più o meno grandi; il segreto sta nell’affrontarli con il sorriso! Dopo la tempesta c’è sempre il sole!