Ecco l’app che aiuta i sordi a sentire i rumori di casa

E’ il progetto di Stefano Smacchia che ha progettato Egg, un assistente virtuale che tramite dei sensori installati in casa invia una notifica quando rileva dei suoni.

PERUGIA. Un’app per consentire ai non udenti di sentire i rumori tra le mura domestiche. E’ il progetto di Stefano Smacchia, marchigiano ma perugino d’adozione, che ha progettato Egg, un assistente virtuale che tramite dei sensori installati in casa invia una notifica quando rileva dei suoni: il pianto di un bambino, un oggetto che cade, qualcuno che chiede aiuto.

Il giovane imprenditore, classe 1989, è laureato in economia all’Università di Perugia e dopo un periodo di studio in Inghilterra e esperienze lavorative nel campo del marketing di grandi aziende, ha deciso di mollare tutto per realizzare la sua idea, arrivata per caso guardando la tv. “Stavo vedendo un programma in cui c’era una ballerina sorda che ballava perfettamente a tempo nonostante non potesse ascoltare la musica. In quel momento ho deciso che avrei voluto fare qualcosa per aiutare i non udenti”, racconta. Un’intuizione ancora senza contorni, che si è fatta via via più chiara dopo aver parlato con l’Istituto per sordi di Roma. In quel primo colloquio, Stefano ha capito che uno dei maggiori problemi di chi non sente è proprio non accorgersi di ciò che avviene dentro casa.

“Questo può causare emergenze e inconvenienti più o meno gravi – spiega – a molti capita di lasciare la cappa della cucina accesa per giorni, di non accorgersi che il cane abbaia per ore o di non sapere che il figlio sta male perché piange di notte nell’altra stanza”. Individuato il bisogno a cui voleva rispondere – fondamentale per chi decide di creare un prodotto – il giovane imprenditore ha deciso di non accettare altri impieghi in azienda e, alla scadenza dell’ultimo contratto, di dedicarsi a tempo pieno alla creazione della sua start up. “Spesso, usciti dall’Università italiana, pur avendo studiato economia, non si sa bene come ci si deve muovere per fare impresa – ammette – ci sono voluti molti mesi di studi e incontri per poter dare concretezza al progetto”. La prima vera spinta è arrivata nel giugno 2017, quando Smacchia ha vinto il premio “Less is more” della Fondazione Palmieri e Piquadro per aziende con impatto sociale: un contributo in denaro e un percorso in Silicon Valley per poter imparare “dai più bravi”. Poi, nell’ottobre 2017, ha vinto il bando “FabriQ 3” organizzato da Impact Hub Milano e Comune di Milano, grazie al quale ha potuto seguire altri percorsi di accelerazione per la sua start up.

Così è materialmente nata Egg: un sistema che lavora a partire da sensori installati in una stanza, che percepiscono i suoni, li inviano ad una piattaforma su cloud che li riconosce e a sua volta invia, tramite app su cellulare, notifiche che descrivono quei suoni a chi non li può sentire. L’app non è ancora sul mercato, ma è nella fase di sperimentazione che servirà, e Stefano ne è convinto, “a dimostrare che quello che sto facendo ha le gambe per poter camminare”. Questo periodo è dedicato ai test, realizzati in collaborazione con l’Ente nazionale sordi della provincia di Terni, tramite questionari, incontri e prove per mettere a punto l’assistente virtuale. “Andiamo nelle case delle persone non udenti, mimiamo casi di vita reale e vediamo cosa succede. Sta andando molto bene, funziona – racconta – ma la strada è ancora tutta in salita”. Ciò che ancora manca, come per molti giovani startupper, sono i finanziamenti.

A gennaio sono entrati in società tre piccoli imprenditori di Fabriano (Ancona), suo paese d’origine, con un piccolo investimento necessario a far partire la produzione, ma non basta. “E’ partita la raccolta fondi – spiega Stefano – abbiamo i test e un concept da far vedere, che inizia a essere accattivante per gli investitori. Con alcuni player stiamo andando avanti, ma bisogna cercare di essere veloci perché ogni volta che nasce un’idea, è probabile che da qualche altra parte del mondo qualcuno ci stia già lavorando”. La tenacia di sicuro a Smacchia non manca. “Il tasso di mortalità nella culla di una start up è altissimo. L’idea vale solo il 2%, il restante 98% dipende dalla bravura di chi lavora a realizzarla. In Italia manca ancora la mentalità, siamo un po’ indietro nel collegamento tra università e impresa. Ma il livello di preparazione si e’ alzato molto, possiamo farcela”.

Fonte: La Nazione del 24-12-2018