ROMA – “Affidare Claudia a chi non conosce le tante necessità e particolarità della sua malattia rara, complessa e progressiva, sarebbe come offrirla alle braccia della morte. E questo come mamma non posso accettarlo”. Marina Cometto di prende cura di Claudia da quando sua figlia è nata, 47 anni fa. Caregiver a tempo pieno, ha imparato a conoscere ogni manifestazione, bisogno e complicazione di quella sindrome di Rett che ha colpito sua figlia, rendendola gravemente disabile e del tutto non autosufficiente. E’ con la consapevolezza, la dedizione e anche l’angoscia del suo essere caregiver che ha indirizzato, qualche giorno fa, una lettera all’assessore alla Sanità della regione Piemonte Luigi Genesio Icardi, per assicurarsi che, in caso sua figlia Claudia avesse bisogno, per qualche motivo, di essere ricoverata, nessuno le impedisca di stare insieme a lei. Così come, d’altra parte, ha finora potuto fare: “Sono sempre entrata con mia figlia in tutti gli ospedali, sia per visite ambulatoriali o in pronto soccorso e anche durante i ricoveri sono sempre rimasta con lei giorno e notte. Ora però, con il Covid, temo ci possano essere problemi in caso dovessimo recarci al pronto soccorso per un’emergenza”.
Di qui la grande preoccupazione: “Ho visto in un video il pronto soccorso delle Molinette, in cui era visibile un cartello che vietava l’ ingresso ai parenti; questo mi ha preoccupata molto e in me molte domande si sono fatte strada. Se dovessimo recarci al pronto soccorso per motivi Covid o per altri motivi? Mi sarebbe permesso di rimanere con lei se dovesse essere ricoverata per qualche motivo, oppure in un reparto Covid ? Non vorrei dovermi trovare a discutere con medici o infermieri in un momento delicato per la sua salute”.

La “simbiosi” del caregiver
Per far meglio comprendere quanto vitale sia la sua presenza per la figlia, tanto più in caso di malattia, Cometto spiega che Claudia è “una donna di 47 anni con pluridisabilità; per età anagrafica donna, ma in concreto una bambina che non ha alcuna autosufficienza e la cui vita dipende principalmente da me”. E dipende, in particolare, da quella che non esita a definire “simbiosi”: una comunicazione che nessun altro potrà mai costruire con Claudia, tanto meno in una condizione di emergenza. La vita di Claudia dipende “dal mio conoscerla in ogni particolare, dal comprendere ogni suo respiro e capire la differenza tra desaturazione importante o semplice agitazione che influisce sul respiro, dal saper capire se un lamento è dovuto ad un male di pancia per motivi legati ai suoi problemi intestinali oppure da quelli ginecologici, se rifiuta il cibo perché non gradisce il gusto o perché non si sente bene. Da come strizza gli occhi, capisco se ha dolore da qualche parte, oppure se sono gli occhi a procurarle fastidio, bruciore o dolore. Insomma siamo in simbiosi , per molti una parola negativa per mia figlia vuol dire vita”.

 

Questo dovrebbe bastare a far comprendere la necessità vitale della sua presenza accanto a Claudia, anche in caso di ricovero. Eppure “non ci sono regole chiare e specifiche valide a livello nazionale: alcuni ospedali permettono la presenza di un genitore h24 a fianco della persona con disabilità, altri negano persino la presenza alla visita in pronto soccorso , alcune persone con disabilità possono usufruire dell’assistenza e del conforto della presenza di chi conoscono e amano, ad altre questo viene negato. E non è giusto”, afferma Cometto, che chiede dunque “se la regione Piemonte abbia previsto norme anche per le persone con disabilità interdette o con amministratore di sostegno in tal senso e di essere informata nei particolari come ci dobbiamo e possiamo comportare, in caso di accesso al pronto soccorso ed eventuale successivo ricovero. E’ importante anche – conclude – che tutti gli ospedali della Regione siano informati della possibilità della presenza di un genitore o familiare a fianco della persona interdetta o con amministratore di sostegno, in modo da tutelarne la salute e la vita”.

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