Gazzetta di Mantova del 26/04/2022

La danza delle mani precede di qualche istante il flusso delle parole, come se le dita orchestrassero il discorso. Succede, quando la prima lingua che impari è quella dei segni. Per Sabino Papeo le parole sono arrivate dopo, più tardi rispetto agli altri bambini, ma adesso si resta affascinati da questa sua danza delle dita e dalla mimica che ne governa i lineamenti, così efficaci da rendere più denso il senso della sua voce.
Sabino è un Coda come Ruby, l’adolescente protagonista della pellicola che quest’anno ha vinto tre premi Oscar (anche per il miglior film): l’acronimo sta per children of deaf adults, figli udenti di genitori sordi. Sospesi tra due mondi, quello senza suoni della propria famiglia e l’altro chiassoso, fuori dal perimetro domestico. Loro stanno in mezzo, a fare da filtro.
«Il film? Ho preferito l’originale francese, di cui questo americano è il remake – commenta Papeo, 32 anni, segretario generale dell’Ente nazionale sordi di Mantova – non mi è piaciuta la lettura così drastica del rapporto con la famiglia, che all’inizio si mette di traverso al talento della ragazza per il canto e al suo desiderio di coltivarlo, anche se questo significherebbe allontanarsi da casa e da un destino già segnato. Certo, i genitori sordi hanno bisogno dei proprio figli udenti per comunicare con il mondo fuori, ma i Coda hanno diritto a farsi la loro vita. Personalmente, posso affermare che mia madre e mio padre non mi hanno mai tarpato le ali. Al contrario».
Al di là del giudizio sull’opera, racconta Sabino che il film ha avuto il merito di accendere l’interesse sulla dimensione di questi ragazzi sospesi e sulle loro famiglie. E adesso lui quest’attenzione vuole sfruttarla per promuovere l’attività dell’Ente nazionale sordi (un’associazione di promozione sociale), perché molti ne ignorano l’esistenza e disconoscono i propri diritti, dalla pensione alle agevolazioni fiscali. E poi l’ente offre assistenza, ha un canale diretto con l’ufficio di collocamento mirato, lo stesso Papeo accompagna i soci negli uffici pubblici, in banca e dal notaio, spendendosi in prima persona per la tutela dei loro interessi. La sede è in via Pellegrino Salandri, traversa di via Indipendenza.
Stima Papeo che nella provincia di Mantova vivano cinquecento sordi – a proposito, guai a chiamarli sordomuti perché la difficoltà a parlare è conseguenza dell’incapacità di sentire – lui in ufficio ne avrà accolti la metà: l’appello a farsi avanti è disinteressato, per accedere ai servizi non è nemmeno obbligatorio tesserarsi. Ci sono un sito (www.mantova.ens.it) e un numero di telefono (0376.39 63 82).
Per promuovere l’Ente nazionale sordi, e raggiungere il maggior numero di persone possibile, Papeo è disposto a metterci faccia, voce e segni. «La mia infanzia? Non mi sono mai vergognato dei miei genitori né sono stato vittima di bullismo – racconta – sono orgoglioso di loro, mio padre, geometra, ha lavorato per quarant’anni all’Iveco, mia mamma ha fatto anche teatro. No, le ali non me le hanno tarpate e io a diciotto anni sono partito». Sabino ha girato il mondo da animatore nei villaggi turistici Alpitour, finché non ha conosciuto Eva, animatrice pure lei, ed è tornato a Mantova con lei. «Se davvero c’è questo muro tra il mondo dei sordi e quello degli udenti? Sì – risponde Sabino – noi sbagliamo, dovremmo avere più pazienza con chi non sente». Dovremmo fare pratica di lentezza in un mondo che corre sempre più veloce.

di Igor Cipollina