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Betlemme, il virus ferma il miracolo che ridona la parola ai ragazzi sordi
Avvenire del 05/12/2021
BETLEMME. Uno striscione con il numero “50” in caratteri dorati dà il benvenuto a chi varca la soglia dell’istituto Effetà di Betlemme. E ricorda il mezzo secolo di “miracoli” che anno dopo anno si ripetono nelle aule della scuola affacciata su via Arafat. È il miracolo della parola restituita ai ragazzi sordi della Palestina, figli prediletti di Paolo VI che aveva voluto il plesso dopo il suo storico viaggio in Terra Santa del 1964. Sarebbero state le suore italiane della congregazione delle Maestre di Santa Dorotea a realizzare il suo sogno e ad aprire il 6 settembre 1971 l’istituto pontificio che prende il nome da quell'”apriti” pronunciato da Gesù lungo le strade del Medio Oriente per abbattere il muro del silenzio in cui era imprigionato un sordomuto. Come gli studenti che arrivano piccolissimi nell’asilo di Effetà ed escono dopo le medie o il liceo capaci di comprende, dialogare, aprirsi agli altri e al mondo, trovare un lavoro e mettere su famiglia.
L’anniversario cade mentre «sono evidenti per l’istituto gli effetti della pandemia», spiega il patriarca latino di Gerusalemme, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, che presiede il consiglio di amministrazione. «Il quadro economico si è fatto molto difficile», precisa subito. Anzitutto, sono crollate le donazioni dall’estero che erano la principale risorsa per la struttura. E poi i costi si stanno impennando per essere accanto ai ragazzi «che di fatto hanno perso due anni di studio per l’emergenza sanitaria», racconta suor Anastasie Teby, una delle cinque religiose impegnate nell’istituto. Oggi gli alunni sono 190, quasi tutti di genitori musulmani. «Nei mesi di blocco totale – riferisce la consacrata – abbiamo cercato di non lasciarli soli con l’apporto delle mamme. Ma è stato impossibile ricorrere alla didattica a distanza per ragioni oggettive: i nostri ragazzi non avrebbero potuto seguire le lezioni online. Hanno bisogno di contatto umano, di presenza, di interventi specialistici che si realizzano solo dal vivo. Possiamo dire che il Covid ha avuto conseguenze doppie su di loro». Per rispondere al “deficit” causato dal coronavirus la scuola si è subito mobilitata. Ha moltiplicato le proposte di apprendimento e le sedute individuali di riabilitazione fonetica. «Ecco perché abbiamo urgenza di più insegnanti e più logopedisti – afferma la religiosa -. Ai ragazzi serve recuperare. Non ci vuole fretta e occorrono lezioni personalizzate ». Progetti che fanno lievitare le spese.
«A causa delle continue chiusure e aperture della scuola, l’istituto si è trovato a fare i conti con i costi raddoppiati mentre sono venute totalmente a mancare le rette, anche se queste rappresentavano una cifra simbolica rispetto agli onori necessari per la formazione dei bambini. Rette che comunque erano versate solo da una parte degli studenti perché la maggior parte proviene da famiglie molto povere», racconta il vescovo emerito di Fiesole, Luciano Giovannetti. A lui si deve la nascita della Fondazione Giovanni Paolo II, la onlus per lo sviluppo e la cooperazione che coinvolge alcune diocesi della Toscana ed è anche sostenuta dalla Cei. In prima linea soprattutto in Medio Oriente per soccorrere i cristiani, ha abbracciato da anni l’istituto e lo sta accompagnando perché «possa continuare nella sua preziosa missione», afferma Giovannetti. E con Avvenire ha lanciato una campagna di raccolta fondi a favore degli studenti sordi.
«Effetà è un fiore all’occhiello della presenza cattolica in Palestina – ricorda l’arcivescovo Pizzaballa -. Qui la Chiesa non soltanto custodisce i luoghi santi o è volano di pellegrinaggi, ma promuove centri di aiuto agli ultimi e ai più fragili. Esperienze di prossimità evangelica che intendono essere una testimonianza». Suor Teby racconta i suoi studenti che sarebbero destinati a restare ai margini della comunità se non ci fossero le classi pensate da papa Montini. «La sordità è una forma di disabilità molto diffusa nei Territori Palestinesi. E ciò è dovuto soprattutto ai matrimoni fra consanguinei che sono numerosi nei villaggi più isolati ». E Pizzaballa aggiunge: «La disabilità è considerata uno stigma fra le mura domestiche. Quando i bambini entrano in aula, non sono in grado di comunicare. Per questo non è un’iperbole dire che qui si cambia il loro destino. Non solo attraverso il dono della parola si pongono le condizioni per una vita normale, ma si consente anche alle famiglie di favorire il loro inserimento sociale oltre ogni ostacolo ». Niente lingua dei segni, però, nelle classi. Al centro dei percorsi di studio c’è la lettura labiale, ben più faticosa ma in grado di dare risultati più inclusivi. «A distanza di cinquant’anni – conclude il patriarca latino – Effetà resta un’avanguardia. Ed è una luce di speranza all’interno del mondo dell’handicap che non può spegnersi ».
di Giacomo Gambassi