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“Cosi’ insegniamo a parlare ai bambini sordi palestinesi”
“Cosi’ insegniamo a parlare ai bambini sordi palestinesi”
TERRA SANTA. Nel mondo un bambino su mille nasce totalmente o parzialmente audioleso, mentre in Palestina il 3 per cento della popolazione ha problemi di udito. In alcuni villaggi, particolarmente isolati, la percentuale, tra le più alte al mondo, sale al 15 per cento degli abitanti. La diffusione della sordità in quest’area è dovuta quasi completamente all’eredità genetica. Nei Territori Palestinesi circa il 40 per cento dei matrimoni è endogamico, combinato all’interno della famiglia allargata o direttamente tra primi cugini, aumentando la probabilità che il deficit genetico si manifesti nei nascituri. A Betlemme è sorto, per desiderio di Paolo VI, l’Istituto pontificio «Effetà» per la rieducazione audiofonetica, visitato spesso dai pellegrinaggi in Terra Santa provenienti dalla Bergamasca, per esempio da quello dell’agosto scorso della parrocchia di Villa di Serio. In quell’occasione, i pellegrini sono rimasti molto colpiti dal racconto della vicenda del gruppo di allievi dell’Istituto, cui è stata negata, senza un vero motivo, persino la possibilità di trascorrere una giornata al mare sulla costa mediterranea israeliana.
«La storia della scuola – ci spiega la direttrice, suor Pierluigina Carpenedo – trae le proprie origini dalla visita pastorale di Paolo VI in Terra Santa nel 1964. A quel tempo non c’erano scuole o istituzioni che si occupassero dei palestinesi con problemi di sordità: questo è stato il motivo che ispirò la fondazione di Effetà. L’Istituto è diretto dalle suore Dorotee Figlie del Sacro Cuore di Vicenza, in collaborazione con personale locale, composto da insegnanti specializzati, laici e religiose. Attualmente la comunità è costituita da sette sorelle, due giordane e cinque italiane».
Perché sono così numerosi i non udenti tra i palestinesi?
«La diffusione dell’handicap sensoriale della sordità in Palestina è dovuta ai matrimoni endogeni e all’ereditarietà».
Il vostro metodo non prevede il ricorso al tradizionale linguaggio dei segni per sordomuti, conosciuto anche per l’uso durante alcuni programmi televisivi. Come insegnate a esprimersi?
«La scuola ha adottato, come sistema rieducativo, il metodo orale, che consiste nell’insegnare a parlare tramite la parola, lo sfruttamento dei residui uditivi con applicazione di protesi acustiche e la lettura labiale quale mezzo di comprensione dei messaggi».
Quanti sono gli studenti iscritti? Da dove provengono? Di quale nazionalità e religione sono le insegnanti?
«Nell’anno scolastico, appena iniziato, gli allievi dall’età di un anno a quella di diciotto, sono 170. Provengono dalle regioni di Betlemme e di Hebron: alcuni di loro, per arrivare a scuola, devono percorrere anche 70 chilometri. Sono tutti di religione islamica, tranne un alunno di seconda elementare, che è cristiano. Le classi sono miste, mentre, normalmente, in Palestina, sono maschili o femminili. I 33 docenti laici sono tutti cristiani, meno i due insegnanti di religione islamica».
Al termine degli studi all’interno dell’Istituto, è necessario un esame di Stato? Con quali sbocchi lavorativi?
«Da quattro anni il curriculum scolastico termina con la quarta superiore. Gli studenti affrontano gli esami pubblici, acquisendo il diploma di maturità. Chi ha le possibilità finanziarie, le capacità e il desiderio accede alle università, oppure si inserisce nel mondo del lavoro, oggi molto precario». Chi sostiene la scuola? Le famiglie pagano una retta? In base al reddito? «I genitori contribuiscono alle spese scolastiche con il versamento di una retta, molto inferiore alle reali necessità direzionali. Hanno dei grossi problemi per la presenza in famiglia di numerosi figli, per le spese del trasporto casa-scuola e per le protesi acustiche. Tutto ciò influisce sui costi reali della scuola, che deve trovare altre fonti, tramite progetti o donazioni, oggi molto rari. L’Istituto offre alle studentesse che arrivano da località lontane di usufruire, dal lunedì al giovedì, del centro residenziale interno».
Betlemme è sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese, rinchiusa dal muro di separazione dai Territori costruito da Israele. Com’è il rapporto con le istituzioni palestinesi? Quali sono i loro effettivi poteri?
«Il rapporto con il governo palestinese è di osservanza delle norme e delle leggi previste nel campo dell’educazione e del lavoro. Betlemme è una città palestinese, ma è sotto occupazione. I cittadini sentono molto forte la mancanza di libertà e di autonomia nei vari settori della vita sociale».
Fonte: L’Eco di Bergamo del 18-09-2017