La sordità accelera il declino. Ma la tecnologia può sconfiggerla.
I progressi nel settore consentono soluzioni diverse per ogni paziente.

«OggiI più che mai, in un mondo dominato dalla tecnologia, il paziente con ipoacusia, cioè che sente poco o male, ha bisogno di qualcuno che lo segua nel percorso del recupero dell’udito in modo agevole ed empatico». Sono le parole di Ettore Cassandro, neopresidente della Società italiana di Otorinolaringologia e Chirurgia cervico-facciale (Sio), al Congresso nazionale di Sorrento. «Ci siamo resi conto – sottolinea Carlo Antonio Leone, presidente uscente Sio – che è sempre più necessario coinvolgere con ruolo attivo le associazioni dei pazienti. Ecco perché oggi, oltre all’aggiornamento su nuove tecniche e nuove tecnologie, ai momenti di confronto fra le più importanti scuole medico-chirurgiche mondiali e all’interazione con i produttori di device, abbiamo cercato il dialogo col paziente. Vogliamo assicurare il migliore trattamento disponibile, per offrire alla gente la migliore qualità di vita possibile». «Oggi, le protesi acustiche e gli impianti cocleari – afferma Giuseppe Chiarella, direttore U.O. Audiologia e Foniatria università Magna Graecia di Catanzaro – rappresentano un continuum versatile ed eccellente per risolvere i problemi di udito dei pazienti. Dobbiamo quindi parlarne, parlarne, parlarne. Dobbiamo, infatti, sensibilizzare i pazienti al fatto che esistono soluzioni su misura per tutti. Ed è importante sollecitare chi non sente bene a sottoporsi precocemente a una visita dal medico». «Sì, perché l’assenza o la carenza di stimoli sonori – spiega Alberto Golinelli, direttore del Centro Ricerche e Studi (CRS) Amplifon Italia – crea una pericolosa barriera alla vita di relazione. La persona con carenze di udito perde i contatti con la realtà. Chi sente poco, partecipa poco e parla ancora meno. E questo è un rischio da non sottovalutare poiché numerosi studi hanno accertato che la sordità accelera il processo di declino cognitivo della persona». Ecco quindi che emerge evidente quanto sia consigliabile la diagnosi precoce e un rimedio altrettanto sollecito per evitare di sommare al problema dell’isolamento, quello del calo delle performance intellettive. Ma non basta. Il paziente va seguito passo passo con la massima attenzione, sia per fargli superare le remore di origine culturale (che spesso abbinano il portatore di protesi acustica con l’immagine dell’anziano), sia per assicurargli la migliore riuscita del “rimedio” tecnologico. Per questo il CRS ha messo a punto il protocollo personalizzato Amplifon 360, un modello tecnico-assistenziale che mette al centro la persona, coinvolgendo nel contempo il medico e l’audioprotesista. IN PRATICA, la persona con ipoacusia, dopo la visita medica e i test di percezione e comprensione, comunica al protesista le sue esigenze, per esempio, di voler riuscire ad ascoltare finemente la musica o le parole di un oratore, magari isolandole meglio dai rumori di fondo e così via. Viene così individuata la soluzione tecnica migliore per soddisfare le sue esigenze personali. Il percorso dura 30 giorni, con messe a punto e verifiche gratuite. Alla fine si valutano anche i miglioramenti e i vantaggi raggiunti nella vita reale. Tutto ciò viene annotato in una cartella clinica condivisa con il medico specialista. Alla fine del periodo di prova il cliente sceglie, in totale libertà, se acquistare o meno la protesi acustica.

di Maurizio Maria Fossati

Fonte: Il Giorno del 04-06-2017