Padre Cyril, missionario oltre le barriere

Giorgio Bernardelli – Mondo e Missione
10 Giugno 2016
Prende il via oggi a Roma il Giubileo dei malati e delle persone disabili. E a
tenere la prima delle catechesi è padre Cyril Axelrod, un sacerdote
sudafricano sordo cieco dalla storia straordinaria
È NATO ED È CRESCIUTO nel Sudafrica dell’apartheid, dove si è speso in prima
persona per il superamento delle barriere tra bianchi e neri. Poi è andato a Macao, alle
porte della Cina continentale, dove è rimasto per dodici anni. Prima di partire di nuovo –
nel 2000 – per una missione del tutto nuova. In un «luogo» contrassegnato dal buio e dal
silenzio. Ma non per questo chiuso a una parola di speranza.
È la storia straordinaria del missionario redentorista padre Cyril Axelrod. E del ministero
che lui – sordo dalla nascita e da alcuni anni anche completamente cieco – svolge tra
quanti condividono questa stessa condizione di isolamento estremo. Un annuncio fatto
di parole comunicate sfiorando con sapienza le dita della mano. Per affermare – da prete
– un messaggio grande: nessuno può davvero sentirsi escluso dall’amore di Dio.
È la storia che padre Cyril stesso ha raccontato nel libro «And the Journey Begins» («E il
viaggio comincia») pubblicato per la casa editrice britannica Douglas McLean.
Un’autobiografia scritta da un sacerdote sordo-cieco con l’aiuto di tanti amici.
Ci sono voluti tre anni per metterla per iscritto, con un lavoro di équipe svolto pagina
dopo pagina con il Braille e il linguaggio del palmo della mano. Ne valeva assolutamente
la pena, perché le 200 pagine del libro sono una parabola straordinaria, che parla non
solo a chi è portatore di un handicap.
Ad esempio è una grande storia sull’incontro possibile tra cristiani ed ebrei. Perché Cyril
nasce a Cape Town nel 1942, figlio unico in una famiglia di ebrei ortodossi giunti fin qui
per sfuggire alle persecuzioni dell’Europa Orientale. Nasce sordo e (come lui scoprirà
solo molto più tardi) affetto dalla sindrome di Usher, una malattia che con il tempo
colpisce anche l’apparato visivo fino a portare anche all’assoluta cecità.
E subito per il piccolo Cyril c’è una grossa barriera da superare. Perché a Cape Town
l’unica scuola per i bambini sordi, l’unica possibilità per poter uscire dall’isolamento, è
una scuola retta da suore domenicane tedesche. Per la famiglia Axelrod – ebrea
osservante – è un passo difficile. E i sospetti di «indottrinamento cattolico» non
mancano. Così il padre decide di mandarlo alla scuola. Ma allo stesso tempo si adopera
perché anche la comunità ebraica si attrezzi in modo da educare i piccoli ebrei sordi
nello studio della Torah e del Talmud. E Cyril si appassiona in questo studio. Al punto
che – una volta cresciuto – vorrebbe diventare rabbino. Crede che così potrà mettere
tutta la sua vita completamente al servizio delle persone sorde. Ma deve scontrarsi con
una grossa delusione: l’interpretazione della Torah data dagli ebrei ortodossi non
ammette che un disabile possa essere ordinato rabbino.
È un grosso colpo. Accompagnato a distanza di poco tempo anche dalla perdita del
padre. Comincia a lavorare come contabile. Eppure quel desiderio di donare
completamente la propria vita resta. Così un giorno – spinto dalla curiosità – lui ebreo
entra nella cattedrale di Cape Town. E qualcosa scatta. Con l’aiuto di un amico cattolico,
anche lui sordo, comincia un percorso di ricerca. Fino alla decisione: voglio diventare
prete.
Per la madre e il resto della famiglia è un nuovo shock. Inizialmente tagliano tutti i ponti
con Cyril. Ma l’amore è più forte. E una mano la dà anche il rettore del seminario, che
invita a mantenere viva nel giovane Axelrod la radice ebraica. Ogni venerdì sera tornerà
dalla madre a celebrare lo Shabbat. E alla fine – il giorno dell’ordinazione sacerdotale, nel
1970 – sarà lei ad accompagnarlo all’altare.
Al momento dell’ordinazione Cyril è il terzo sordo mai ordinato sacerdote nella Chiesa
cattolica. Pochi mesi dopo è a Roma, dove incontra Paolo VI. Un incontro che si
rivelerà molto importante. «Quando sentì il mio nome – ricorda padre Cyril nel libro –
un sorriso illuminò il suo volto. “Il vescovo Green mi ha raccontato della tua
ordinazione – mi disse -. Sei il primo prete sordo che incontro”. Abbracciandomi con
calore, mi chiese di portare un messaggio a mia madre. Disse che l’ammirava come ebrea
che aveva presentato il suo unico figlio a Dio, e voleva ringraziarla per il dono che aveva
fatto alla Chiesa. Poi mi benedì e mi disse: “Va’ e predica l’amore di Dio alle persone
sorde”. Questo atteggiamento del Papa e le sue parole decise – conclude il missionario
redentorista – mi fecero commuovere fino alle lacrime. Quali meraviglie Dio aveva
preparato per me».
Rientrato in Sudafrica, il primo incarico è in un istituto per ragazzi neri sordi a King
William’s Town. Per padre Cyril è l’impatto con le conseguenze della segregazione
razziale sulle persone sorde. «Apartheid – racconta – in questo caso voleva dire che tutti
gli alunni erano neri e che a loro non era consentito alcun contatto con persone sorde di
altri gruppi etnici in Sudafrica. Ma il più grande shock per me fu scoprire come questi
bambini sordi fossero isolati anche dai loro genitori che per la maggior parte vivevano
molto lontano. La politica dell’apartheid di fatto creava una barriera di comunicazione
tra genitori e figli».
Il giovane sacerdote sordo si sente chiamato anche alla vita di comunità. Così sceglie di
entrare in un ordine religioso, quello dei Redentoristi. E arriva una nuova destinazione:
Soweto, uno dei luoghi cruciali della lotta all’apartheid. È una battaglia che padre Cyril
affronta dalla sua prospettiva, quella dei ragazzi sordi che vivono nella township. «I
ragazzi appartenevano a diversi gruppi etnici di Soweto e questo rendeva molto difficile
scegliere quale lingua usare – scrive -. Lo Special Education Department for Black
Disabled Children insisteva perché usassimo la lingua zulu, ma questo provocò la
protesta di molti genitori. Così decisi di chiedere al governo di autorizzare
l’insegnamento dell’inglese agli studenti sordi in modo che, al di là delle diverse etnie,
potessero avere una lingua in comune. Andai avanti a insistere fino a quando il permesso
mi fu accordato. Così la nostra divenne in Sudafrica la prima scuola per ragazzi neri in
cui si insegnava la lingua inglese. E questo fu un punto di svolta in questo Paese ancora
sotto le regole dell’apartheid».
Intanto padre Cyril imparava a vivere il suo ministero sacerdotale anche tra i
normodotati. Ad esempio in confessionale. «Quando mi ci mandarono la prima volta
protestai – racconta -; mi fu detto che non era importante sapere tutto quello che la
gente stava dicendo ma essere generosi nel mostrare la misericordia di Dio. Così, fuori
dal mio confessionale, appesi un cartello in cui scrissi: “Padre Cyril Axelrod (sacerdote
sordo)”. La prima penitente che si presentò fu una donna di mezza età. Dalle vibrazioni
del mio Breviario avvertii che mi stava parlando con un tono di voce molto alto. Mi
voltai verso di lei e con il dito sulle labbra le feci segno di abbassare la voce. Sorpresa
esclamò: “Ma allora lei non è sordo!”. Imbarazzato non sapevo come spiegarmi. Così le
diedi la benedizione e le dissi: “Vai in pace”. Pochi minuti dopo arrivò un altro
parrocchiano. Ma quando aprii la grata mi accorsi che era un uomo molto alto: vedevo
solo il suo petto e la sua cravatta. Per poter leggere le sue labbra dovetti mettere da parte
la sedia e sedermi sul pavimento del confessionale. Era così imbarazzato della situazione
che due settimane dopo tornò da me con una offerta…».
Nel 1985 compie un viaggio a Singapore dove resta tre mesi, avviando anche lì nuove
attività per i sordi. Però fu in quello stesso periodo che iniziò a manifestarsi la retinite
pigmentosa, con i primi seri problemi alla vista. «Intorno alla Pasqua del 1988 – continua
padre Axelrod – venne in visita in Sudafrica il nostro padre generale, Juan Lasso de la
Vega. A pranzo si avvicinò a me e, attraverso un confratello che faceva da interprete mi
disse: “Mi hanno raccontato del tuo lavoro straordinario a Singapore. Ti piacerebbe
partire missionario per la Cina?”. La mia mente andò in tilt. Riuscivo a pensare solo alla
mia vista che andava deteriorandosi e alle persone sorde che avrei lasciato in Sudafrica. I
miei confratelli e la comunità dei sordi, però, sapevano che era il Signore a chiamarmi, e
così mi diedero tutto il loro supporto. Quanto al padre generale mi disse che la vista non
era un mio problema. Era un problema di Dio. Così incominciò il mio nuovo viaggio,
quello verso l’Oriente».
Una nuova missione, con nuove sfide. Ad esempio: anche un sordo quando cambia
continente deve imparare una nuova lingua. «Quando cominciai ad avere dimestichezza
con il linguaggio dei segni cinese – ricorda il missionario – le persone sorde
cominciarono ad avere fiducia in me e a raccontarmi di come si sentissero trattati come
cittadini ignoranti, poco più che medicanti, e di come sognassero di avere un centro
apposta per loro. Incontrai anche i genitori dei bambini sordi e subito cominciai a capire
come la disabilità in Cina fosse considerata una vergogna e un’’occasione di imbarazzo
per le loro famiglie. I genitori spesso li volevano tenere chiusi in casa, nascosti dalla
società, a volte non denunciavano neppure alle autorità la loro esistenza. Capii che c’era
un grosso lavoro da fare».
Quando Padre Cyril arrivò a Macao, non esisteva nulla per i sordi. Con lui nacque un
Centro che – anche in vista dell’imminente passaggio della colonia portoghese alla Cina
(avvenuto nel 1999) – affidò presto alla responsabilità dei sordi locali. E poi fu la volta
dei nuovi progetti avviati nelle Filippine e a Hong Kong, e dei contatti con la Cina
continentale.
Ma ormai la vista andava sparendo del tutto. E nel 2000 fu la volta di un nuovo viaggio,
quello probabilmente più difficile: destinazione una residenza per sordo-ciechi a
Londra. «Le radici del mio cuore erano con il popolo cinese, con il loro stile di vita, la
loro cultura e la loro comunità dei sordi – spiega padre Axelrod -, e adesso lasciavo il
mio lavoro e i miei amici.
Il Signore mi aveva portato altrove, in un Paese a me straniero dove tutto era
completamente nuovo per me. Solo poche persone conoscevano la mia storia e il
servizio che avevo svolto. Improvvisamente mi ritrovai solo un sordo-cieco. Mi sentivo
abbastanza perso. Non avevo idea di che cosa Dio avesse in mente per me, ma sapevo
che dovevo andare avanti».
E un passo alla volta – con la stessa tenacia con cui anni prima aveva studiato il cinese –
a sessant’anni ha ricominciato da capo con il Braille e le tecniche per sviluppare la
propria autonomia. Ma soprattutto ha scoperto che anche i sordo-ciechi sono un ambito
in cui si può essere chiamati a vivere la propria missione di prete.
Così oggi, nella parrocchia di Our Lady of Hal in Camben Town, padre Cyril è
responsabile del ministero per i sordo-ciechi dell’arcidiocesi di Westminster. Quando
celebra la Messa chiama intorno a sé i bambini. E durante l’omelia – ricordando la parola
«Seguimi», pronunciata da Gesù – racconta quante volte nel Vangelo si parla delle mani
di Gesù che toccavano le persone. E li invita ad andare a portare questo tocco alle
persone non vedenti, presenti nell’assemblea. «La maggior parte delle persone considera
la condizione dei sordo-ciechi come qualcosa di indescrivibile, impensabile,
inimmaginabile – commenta – . Per me è diventato un nuovo modo di vivere, che mi ha
offerto una nuova direzione. Ci sono certamente frustrazioni da superare ma anche
molte nuove gioie da sperimentare e molte nuove sfide. In un certo senso la mia
condizione di sordo-cieco è diventata la lezione più importante della mia vita».
«Padre Cyril Axelrod – ha scritto su di lui Oliver Sacks, l’autore di Risvegli, il libro da cui
è stato tratto un celebre film sul mondo dell’handicap – ha dato al mondo un contributo
unico e profondo. E lo ha fatto nonostante la sua sordità e la sua cecità, ma proprio
attraverso di esse.
La sua è la storia commovente ed esemplare del viaggio di un uomo in una vita di
compassione e cura nei confronti dell’altro». La storia – aggiungiamo noi – di un grande
missionario che spende la vita per portare – anche a chi non può vedere e sentire – la
Parola più bella
Colpisce tra i 3 e il 6 per cento dei sordi
La Sindorme di Usher – la malattia di padre Cyril Axelrod – è una delle principali cause
della condizione dei sordo-ciechi. Di origine genetica, si manifesta gradualmente,
portando a una perdita pressoché totale della vista oltre che dell’udito. Per comunicare
queste persone utilizzano un particolare linguaggio che passa attraverso il contatto tra le
dita delle mani. In Italia è chiamato alfabeto Molossi. Ma – come racconta molto bene
nel libro padre Cyril – uno dei problemi dei sordo ciechi è che anche questa «lingua»
cambia da Paese a Paese. Nonostante queste difficoltà i sordo ciechi hanno sviluppato
una capacità di autonomia straordinaria. Grazie a uno speciale computer – ad esempio –
padre Cyril è in grado di comunicare con chiunque via e-mail.