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Articolo del Benemerito dott. Claudio Arrigoni

 

Sordità e tecnologia: una disabilità, tre storie…
Corriere della Sera del 08/01/2022

«Accettare il limite o superarlo, sta a noi decidere»
Ilaria Galbusera, 30 anni, utilizza protesi acustiche ed è una campionessa di pallavolo. Loredana Bava, 44 anni, ha scelto l’impianto cocleare. Valentina Foa, 43 anni, ha invece deciso di abbandonare gli ausili e si definisce «psicoterapeuta bilingue: italiano e lingua dei segni». Il racconto di chi prova a costruire una nuova cultura, che non divide

Questo servizio è stato pubblicato sul primo numero di «7» del 2022, in edicola il 7 gennaio. Lo proponiamo online per i lettori di Corriere.it. Buona lettura.

La mamma di Valentina leggeva tutto quello che trovava per cercare di capire e si chiedeva: mia figlia parlerà? E capirà? Avrà una vita sociale? La risposta, nel tempo, gliel’ha data Valentina stessa: «Sono, sempre, completamente sorda, non utilizzo protesi e, sì, parlo e capisco, sicuramente oggi più di venti anni fa, tra la lingua dei segni, imparata da adulta, e l’italiano parlato e scritto». Valentina è l’unica persona sorda della famiglia: genitori, una sorella e quattro fratelli, e oggi anche un marito, sono tutte persone udenti. La sliding door nella vita di Ilaria è stato invece un passaggio scolastico: «Iniziavo le Superiori. Nuova città, nuove persone. Per la prima volta mi sono sentita diversa. O meglio: mi hanno fatto sentire diversa. Non lo accettavo, ma non mi accettavo più per quello che sono».

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È nata sorda e utilizza protesi acustiche. Furono mesi di domande, dubbi, anche dolore: «Finché un giorno mi sono detta: non vale la pena stare così male per il giudizio degli altri. Sono cambiata caratterialmente e interiormente, sono diventata più forte». Forse non solo per questo oggi è una campionessa sportiva. Loredana quando era piccola giocava a calcio. «Non sentivo come gli altri, ma che ne sapevo come sentivano loro?». Smise, ma non perché fra i 5 e i 6 anni le diagnosticarono una sordità profonda. «Semplicemente, non c’erano altre ragazze che giocavano. Iniziai subito a usare apparecchi acustici». Ma verso i 30 anni si accorse che anche quelli non bastavano: «Decisi per l’impianto cocleare, potevo farlo perché avevo una memoria uditiva, e tornai a sentire i suoni».

Le divisioni da superare, insieme
Tre storie, diverse ma in fondo uguali, di donne che aiutano a costruire un futuro senza divisioni. Che c’erano, e ci sono purtroppo ancora in parte, nel mondo della disabilità uditiva. Donne che vivono da sempre in una condizione di sordità, che conoscono la lingua italiana dei segni e si esprimono anche oralmente, che non hanno protesi oppure sì o ancora hanno impianto cocleare. Ilaria Galbusera è cresciuta fra due mondi: «Mamma è udente, papà sordo come i miei nonni materni. Mio fratello Roberto sente normalmente. La mia famiglia è stata fondamentale. Mi hanno messo le ali e creduto nei miei sogni. Sono da sempre bilingue, fra italiano parlato e lingua dei segni». Bergamasca, 30 anni, è anche una campionessa del mondo e d’Europa, medaglia d’argento ai Deflympics, i Giochi per atleti sordi, da capitana della Nazionale di volley sorde: «Non ricordo un momento senza sport». Poi è attrice e videomaker, con periodi in Africa per insegnare il volley negli slums alle sorde ghanesi e l’emozione di appassionare allo sport ragazze e ragazzi sordi creando le esperienze del Champions Camp in giro per l’Italia.

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Ha saputo anche giocare su sé stessa. con ironia: nel 2011 in Turchia fu eletta Miss Mondo sorda. «Una idea della nonna, avevo venti anni e fu un gioco, anche divertente». Nel tempo, fra il lavoro e lo sport, è diventata esperta nella comunicazione e attivista per i diritti delle persone sorde. Ha curato la regia, con Antonino Guzzardi, di un documentario che racconta il percorso di sei atleti sordi verso la maglia azzurra: « Il Rumore della Vittoria , due anni di lavoro per raccontare una realtà importante spesso poco conosciuta».

Valentina Foa, 43 anni, è psicologa e psicoterapeuta. «Nata, così mi dissero, sorda e diagnosticata con sordità gravissima profonda bilaterale soltanto a tre anni». Fino all’adolescenza tanta, e quotidiana, logopedia con le protesi: «Ma su di me parevano non funzionare mai, nonostante mille sforzi. Pensavo: devo sentire, devo sentire, com’è possibile che non mi entri in testa nessun suono ma solo tanti indefinibili ronzii?». Così a vent’anni smette di usarle. Studia la lingua dei segni: «Eppure, ancora oggi, sebbene mi definisca sorda bilingue, vengo spesso presentata come “sordomuta, ma che parla pure”, oppure “psicologa segnante”, anche se ricevo pure pazienti udenti che non conoscono LIS; “ex oralista”, ma la LIS non mi toglie la parola, la aggiunge; “sessuologa sordomuta”. Sono etichette che però non mi definiranno mai per come mi sento veramente e cioè: semplicemente sorda, ma sorda di brutto, e bilingue. Sono spesso queste le etichette che contribuiscono a tenere così divisivo il mondo dei sordi, quando in realtà si dovrebbe riconoscere e dare dignità alle storie di vita che ogni persona sorda ha con sé ».

«LA DIAGNOSI PRECOCE PERMETTE DI ROMPERE L’ISOLAMENTOACUSTICO: I BAMBINI CON L’IMPIANTO O LA PROTESI VIVONO COME I LORO COETANEI»

Loredana Bava, 44 anni, vive ad Alba, dove si è trasferita dai vent’anni. I genitori, entrambi sordi, sono in un piccolo borgo nelle vicinanze. «Da bimba e da ragazza stavo molto con mia nonna, che non era sorda. La mia prima lingua è l’italiano orale, ma conosco e uso anche la lingua dei segni. Con mamma e papà segnavo, per me non era una cosa strana. Credo anzi che questo mi abbia aiutato molto anche nel mio percorso di vita». La scelta dell’impianto cocleare è giunta quando dall’orecchio sinistro, quello dove aveva la perdita minore, cominciò a non sentire anche con la protesi: «Ci vollero una decina di anni. Non mi spaventava l’intervento, ma quello che sarebbe successo dopo, anche se credo sia difficile da capire: e se avessi cominciato a sentire in maniera differente da prima? Ora uso una protesi nell’orecchio destro e l’impianto nella parte sinistra». Lei che ha vissuto fin da ragazza dentro i due mondi, giustamente non smette di meravigliarsi per lo stigma che ancora circonda la disabilità uditiva: «A volte si vive di stereotipi. Conoscere aiuta a superarli». Anche per Loredana lo sport ha avuto una parte importante: «Dopo il calcio iniziai con la pallavolo». Non andò così male, visto che oggi è nello staff dirigenziale della Nazionale Sorde.

Costruire ponti tra le isole dei sordi.
La sordità che non è un’isola, ma tante isole, tutte diverse, un piccolo arcipelago dove il mare in burrasca non mette in contatto. Anche se qualcosa sta cambiando, le nuove generazioni sono più propense a costruire ponti, come conferma Sara Trovato, una delle maggiori studiose in questo campo, specie sulla lingua dei segni (è fra le autrici di Insegnare e imparare la LIS: attività e materiali per il docente, lo studente e l’autoapprendimento , Erickson): «Questa maggiore integrazione è osservabile più a livello di distribuzione nello spazio, che nel tempo. I gruppi segnanti più combattivi sono nel mondo anglosassone, mentre in Italia, per esempio, in ambito segnante c’è una generale accettazione dell’idea di bilinguismo bimodale: conoscere le due lingue è un indicatore di un maggiore desiderio di vivere in entrambi i mondi, quello dell’italiano e quello della LIS ». È una condizione in crescita, come è facile intuire, con l’aumento dell’aspettativa di vita e dell’età media. Ma dietro i dati ci sono le persone, tante o poche che siano, che in una società civile devono trovare risposte ai bisogni. Ci sono coloro che hanno un impianto cocleare, chi utilizza le protesi, chi la lingua dei segni, chi si riesce a esprimere con padronanza attraverso la voce e chi ha difficoltà nell’espressione orale.

La prima proposta: l’impianto cocleare
Oggi la prima proposta alle famiglie è quella dell’impianto cocleare. Spiega Umberto Ambrosetti, professore associato di Audiologia e foniatria dell’Università degli Studi di Milano: «La diagnosi precoce offre la possibilità di protesizzazione e abilitazione logopedica nei primissimi mesi di vita, permettendo di rompere l’isolamento acustico, che ostacola alla strutturazione del linguaggio parlato. I bambini con la protesi o l’impianto vivono in famiglia e socializzano con i coetanei udenti in scuole normali ». Aggiunge Eliana Cristofari, responsabile di audio-vestibologia di Asst Sette Laghi Varese, struttura ospedaliera ad alta specializzazione: «Per tutti i piccoli sordi gravi e profondi viene proposto l’impianto cocleare intorno all’anno di vita e ormai nella totalità dei casi i genitori non solo accettano, ma lo richiedono prima possibile vedendo anche i risultati ottenuti ». Mondi variegati, ma che spesso non comunicano, o più spesso non vogliono comunicare. C’è chi cerca di costruire la nuova cultura che non divide. Come Valentina: «Segnanti, oralisti: termini obsoleti. Ci sono spesso momenti in cui sogno un mondo tutto segnante per poter riposare gli occhi (leggere le labbra, come fa Valentina, richiede molta concentrazione ndr ) e per poter ascoltare con naturalezza, e altri momenti in cui desidero parlare, parlare e parlare tanto, in italiano. È questa la bellezza di un mondo bilingue e biculturale: poter stare bene tra sordi e tra udenti, in famiglia, tra amici e nel lavoro». Dice Ilaria: «Sta a noi decidere se lasciarci sopraffare da quello che è considerato un limite. Oppure decidere se superarlo. Vivere una vita in bianco e nero o a colori. Io ho scelto quella a colori!».

di Claudio Arrigoni