Il Mattino del 27/08/2021

NAPOLI. «Mi chiamo Elvira Sepe, presidente della Sezione provinciale di Napoli dell’Ente nazionale sordi. Sono una donna sorda che da diversi anni ha l’onore e l’onere di rappresentare la comunità sorda della Provincia di Napoli. Conosco in prima persona le difficoltà quotidiane riscontrate da chi vive con questa disabilità invisibile. Sono onesta nel dirvi che io, come tanti altri, sono orgogliosa della mia vita e della mia sordità. Tuttavia devo essere sincera nel dire che le persone come me si trovano costantemente impossibilitate a esercitare il pieno diritto alla partecipazione a causa delle barriere comunicative».

L’APPELLO. Una lettera aperta, quella di Elvira, indirizzata a chiunque voglia darle ascolto e andare incontro alle esigenze di una categoria di persone, oggi più che mai, in grande difficoltà. Il Covid, infatti, ha ulteriormente peggiorato le condizioni di vita di chi non può sentire. Ed ecco il tema che la Sepe vuole affrontare, quello dell’assistenza sanitaria nei confronti di chi viene aggredito dal virus: «Una delle nostre più grandi difficoltà – scrive – è il ricovero e la cura ospedaliera. Questo periodo di emergenza sanitaria ha reso evidenti le fragilità umane, le debolezze e le paure. Ciò vale ancora di più per noi sordi. Per lungo tempo il sistema ha sopperito affidandosi ai familiari dei soggetti con deficit. Questo è stato per noi sempre inaccettabile, perché volevamo sentirci autonomi come ogni altro cittadino. Tuttavia la pandemia e i numerosi casi di sordi ricoverati per Covid ha reso palese una verità: il nostro sistema sanitario pronto ad offrire cure a tutti, non è pronto ad offrire un adeguato servizio ai sordi. Preciso che non mi riferisco all’aspetto terapeutico, che anzi sappiamo che anzi sappiamo essere tra le eccellenze, mi riferisco all’impossibilità ed incapacità di prendere in carico in maniera globale il paziente sordo». Elvira Sepe racconta un recente episodio che ha coinvolto una donna anziana non udente ricoverata all’Ospedale del mare. La paziente – come spiega il presidente – avrebbe voluto mettersi in contatto con la sua famiglia ma non riusciva a utilizzare il cellulare per una videochiamata a causa di una serie di ragioni, tra cui l’incapacità di collegarsi alla rete wifi del presidio.

LA RICHIESTA. «Negli ospedali – dice la Sepe – dovrebbe esserci qualcuno che si prenda cura di questa categoria di persone. Nessuno conosce la lingua dei segni e chiedere qualunque cosa diventa un problema». E poi aggiunge: «Per noi l’assistenza sanitaria si riduce alla somministrazione di farmaci, cure e terapie. Perché tutto il personale si mostra incapace di entrare in contatto con questo mondo silenzioso. Ma sappiamo bene che la dimensione affettiva gioca un ruolo fondamentale per il benessere dell’individuo e la sua ripresa fisica e mentale. Alla luce di ciò, molti sordi che in questo periodo di pandemia sono stati ricoverati presso gli ospedali, si sono sentiti abbandonati. Certamente non può essere recriminata alcuna negligenza nelle cure e nelle terapie. Ma tutto si è fermato qui».

I BISOGNI. In un periodo di pandemia mondiale, in cui si viveva talvolta lontani dalla propria famiglia, tutti, inclusi i pazienti sordi, «hanno sentito il bisogno, e continuano a sentirlo, di vicinanza umana, comprensione, sostegno e fiducia di potercela fare». Per la Sepe si tratta della «pagina più triste della nostra storia. Sono angosciata al pensiero che persone sorde siano ricoverate in terapia intensiva senza possibilità che qualcuno riesca a entrare in contatto con loro. Ma quanto sarebbe stato facile prevedere che la tecnologia ci aiutasse a mettere in contatto i pazienti sordi con i loro familiari esterni tramite una videochiamata? Ricordiamo che i non udenti spesso non riescono a capire le direttive dei medici e del personale».