Unire le forze per difendere i diritti di tutte le persone sorde

di Emilia Tinelli Bonadonna

Troppo spesso media, politici e istituzioni considerano la LIS come della lingua di tutti i sordi. Un equivoco che non tiene conto della complessità dell’arcipelago delle sordità

 

È di qualche giorno fa la notizia che il Governo ha approvato -all’interno del Decreto Sostegni bis- un emendamento che riconosce, promuove e tutela la Lingua dei Segni Italiana (LIS) e la Lingua dei Segni Italiana Tattile (LIST). L’emendamento, inoltre, riconosce le figure dell’interprete LIS e dell’interprete LIST quali professionisti specializzati nella traduzione e interpretazione rispettivamente della LIS e della LIST. Come riporta il sito di informazione vita.it un successivo decreto definirà i percorsi formativi per l’accesso alle professioni di interprete LIS e di interprete LIST e le norme transitorie per chi già esercita tali professioni. Inoltre, per favorire l’accessibilità dei propri servizi, le pubbliche amministrazioni promuovono la diffusione dei servizi di interpretariato in LIS e in LIST, la sottotitolazione e ogni altra modalità idonea a favorire la comprensione della lingua verbale nonché iniziative di formazione del personale. Infine, per favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità uditiva, la Presidenza del Consiglio dei ministri promuove campagne di comunicazione.

A seguito dell’annuncio di questa notizia, purtroppo, ho avuto modo di osservare come sui media e all’interno delle Istituzioni si sia fatta ancora una volta molta confusione sul mondo delle persone sorde e delle loro esigenze. A partire dall’ennesima riproposizione del pregiudizio -purtroppo molto radicato- secondo cui “la LIS è la lingua dei sordi”. Di tutti i sordi.

Non è così. In Italia solo una minoranza delle persone sorde usa la LIS per esprimersi. Tutti gli altri (i cosiddetti “oralisti”) non usano la LIS ed esattamente come le persone udenti non sono in grado di capire le persone che la usano. La maggior parte delle persone sorde che vivono oggi in Italia sono bambini, ragazzi e adulti che nei primi mesi di vita hanno avuto una diagnosi precoce di sordità e che, grazie all’uso di protesi e di impianto cocleare, hanno potuto conquistare residui uditivi tali da permettere loro di acquisire la lingua parlata in tempi molto simili a quelli dei coetanei. Questo intervento, unito a una riabilitazione nei primissimi anni di vita -un tempo lunga e faticosa- permette alle persone sorde “oraliste” di vivere nella società di tutti, di frequentare la scuola, trovare un lavoro, andare in vacanza,… Ovviamente non mancano situazioni complesse, discriminazioni, difficoltà nell’accedere ai servizi pubblici e nell’inclusione scolastica dei bambini e dei ragazzi. Ma non è questo il punto del mio intervento.

L’Associazione lombarda famiglie audiolesi (a.l.f.a.) ha sempre collaborato in maniera proficua con la rappresentanza lombarda dell’Ente nazionale sordi che attendeva da anni il riconoscimento della LIS e della LIST. Questo provvedimento allinea ora l’Italia agli altri Paesi europei. Ma il riconoscimento della LIS e gli interventi promessi per potenziare e diffonderla sempre di più risolveranno i problemi di una minoranza dei sordi italiani, che però per quanti supporti si potranno dare dipenderanno sempre da un interprete gestuale. Purtroppo non abbiamo dati precisi, ma sappiamo per certo che la stra-grande maggioranza dei sordi sono in grado di esprimersi verbalmente e di comprendere il parlato attraverso la lettura labiale o con il supporto della tecnologia. I sordi “segnanti” che usano la LIS sono invece solo una minoranza. Cito un dato, per far comprendere la “magnitudo” dei rapporti tra le dimensioni delle due comunità: secondo le stime dell’Ente Nazionale Sordi della Lombardia, gli alunni “segnanti” che necessitano della LIS a scuola rappresentano il 5% del totale degli alunni sordi nelle scuole lombarde.

I diritti dei sordi “segnanti” vanno difesi e devono essere implementati tutti gli strumenti necessari a garantire loro piena inclusione nella società di tutti e devono essere abbattute tutte le barriere alla comunicazione. Devono comunque essere garantiti loro tutti gli interventi volti a ridurre il deficit uditivo e le sue conseguenze. Anche al bambino sordo segnante deve essere garantito l’apprendimento della lingua italiana al meglio delle sue possibilità.

Ma le istanze promosse da ENS non esauriscono in maniera più assoluta le istanze e le esigenze delle tante persone sorde che fanno parte del vasto e composito “arcipelago della sordità”. E questa situazione non si risolve semplicemente con l’equazione “tanti sottotitoli per tanta LIS”. Alle istituzioni chiediamo attenzione e ascolto delle istanze promosse da associazioni di persone sorde non segnanti e delle associazioni di persone impiantate o di genitori di bambini sordi “oralisti”: a partire da informazioni chiare e complete, dalla presenza di assistenti alla comunicazione qualificata nelle scuole, da interventi di presa in carico precoce ed efficace nei confronti dei bambini a cui viene diagnosticata una sordità grave nei primi giorni di vita.

Voglio riportare, questo proposito, quanto accaduto a una famiglia milanese che pochi giorni fa si è rivolta alla nostra associazione: dopo la segnalazione di sospetta sordità alla nascita (otoemissioni) e la diagnosi di sordità grave riscontrata al loro figlio neonato sono rimasti per più di sei mesi in attesa di una convocazione da parte dell’ospedale a cui si erano stati inviati dal reparto di neonatologia. Questo, a mio avviso, rappresenta un grave segno di quanto scarsa possa essere ancora oggi l’attenzione verso questa disabilità: la letteratura scientifica ci dice che protesizzazione precoce ed eventualmente l’impianto cocleare devono avvenire il prima possibile per assicurare il migliore risultato possibile.

Sono convita che sia necessario e urgente unire le forze delle tante grandi e piccole associazioni impegnate nella tutela dei diritti delle persone sorde: di tutte le persone sorde. Superando finalmente la barriera tra “segnanti” e “oralisti”. Una distinzione che può avere senso per sottolineare alcuni bisogni diversi, ma un associazionismo al passo coi tempi dovrebbe potersi proporre come rappresentante di tutte le persone con un problema di udito per le quali si cercano le soluzioni migliori. L’Istituzione regionale può sfruttare la sua autorevolezza per favorire questo processo e rappresentare tutte le persone sorde.

Emilia Tinelli Bonadonna, Associazione lombarda famiglie audiolesi 

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