Il Giudice tutelare del Tribunale di Milano, in data 20.04.2021, ha dichiarato il non luogo a provvedere sul ricorso per l’apertura di amministrazione di sostegno in favore di persona anziana, affetta da demenza senile, con un interessante provvedimento le cui motivazioni si riportano nel seguito.
Nel provvedimento il giudice ricorda in primo luogo che l’istituto dell’amministrazione di sostegno è volto alla protezione di soggetti deboli qualora gli stessi abbiano necessità di compiere atti giuridici o debbano esercitare diritti ma non siano in grado di farlo, potendo l’ADS giuridicamente agire “in rappresentanza” (se l’ads è totale) o “in affiancamento” (se l’ads è parziale) della persona beneficiaria.
Nella specie, a fronte di una situazione di totale tranquillità familiare, il Giudice rileva che un amministratore di sostegno non avrebbe maggiori “poteri” o capacità rispetto alle figure già deputate alla tutela.
Rileva il Giudice che l’amministrazione di sostegno è ormai ritenuta da molti come “necessaria” o “obbligatoria” mentre così non è: mettere sotto amministrazione di sostegno persone già pienamente assistite e protette e non a rischio non comporta alcun effetto migliorativo nella loro esistenza, senza considerare che il progressivo e inarrestabile aumento delle procedure finisce per sottrarre tempo e attenzione per quei soggetti che si trovano davvero in condizioni di pregiudizio patrimoniale (oggetto di truffe, circonvenzioni e quant’altro) o anche personale (anziani soli in precarie condizioni) e che necessitano di riposte pronte e immediate.
Il Giudice rileva infatti che non è sufficiente essere anziani – malati – disabili per rendere necessaria (ma nemmeno opportuna) la misura di protezione, dovendosi altrimenti ritenere che qualunque malato necessiti di un ADS, istituzionalizzando e burocratizzando un istituto che, comportando vere e proprie limitazioni alla capacità di agire delle persone, deve essere inteso quale RESIDUALE.
Nel caso concreto era necessario il posizionamento della PEG, ma secondo il Giudice se non vi sono dissidi o incertezze su tale posizionamento (dissenso del paziente o dei suoi familiari), non si vede per quale ragione i sanitari non vi possano procedere anche fuori di un vero e proprio stato di necessità (intervento salvavita): il principio applicabile è infatti quello del “consenso presunto” del paziente (laddove non emergano indicazioni contrarie, anche riferire dai familiari) e nel dovere dei medici di procedere con il programma terapeutico più idoneo a preservare la salute del paziente (criterio del best interest); inoltre nessuna norma prevede che debba esservi un consenso scritto da parte del paziente all’inserimento della PEG (si ricordi che solo il legislatore potrebbe imporre detto onere, ed in effetti in certi casi – ma solo in casi particolari e tassativi – lo ha fatto, come nel caso dei trapianti o della donazione di midollo osseo o del sangue cordonale).
A cura dell’Avv. Marina Verzoni
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