Barmaid romana insegna la Lingua dei segni italiana ai barman

Ventisei anni appena compiuti ma le idee chiarissime: insegnare la Lingua dei segni italiana ai barman. È la bella storia della barmaid romana Giulia Clementi.

ROMA. Giulia Clementi, volto noto della mixology capitolina, sempre sorridente, elegante e gentile, come moltissimi ragazzi, ha intrapreso questa strada per pagarsi gli studi, inconsapevole del fatto che il “lavoretto” si sarebbe trasformato in pura passione. “Sei anni fa ho iniziato a studiare per diventare interprete e ultimamente mi sono dedicata principalmente alla Lingua dei segni italiana (Lis). In tutto questo, per mantenermi gli studi, ho cominciato a lavorare in vari bar di Roma, da Freni e Frizioni a Coffe Pot. Da necessità è diventata virtù, e oggi la mixology rappresenta l’altra mia grande passione, il passo di unire questi due mondi è stato naturale”. Così Giulia, attualmente iscritta alla FIAS (Federazione Italiana Associazioni Sordi), ha partecipato alla finalissima dell’Absolut Invite Global Competition, a Stoccolma, traducendo nella lingua dei segni quello che raccontava il collega Davide Diaferia. Una simpatica gag che ha acceso i riflettori su una questione importante: “Pensate a un sordo dentro a un cocktail bar, solo per richiamare l’attenzione del barman fa una fatica incredibile, per non parlare del fatto che l’illuminazione bassa non permette nemmeno la lettura del labiale”. Un ostacolo comunicativo che ogni giorno coinvolge e colpisce, in Italia, circa 70mila persone. Eppure sarebbe facilmente superabile, magari insegnando ai barman le parole base, quelle più utilizzate nei bar.

Buttiamo giù i muri della comunicazione assieme.
“Buttiamo giù i muri della comunicazione assieme”, è questo lo slogan e lo scopo del progetto di Giulia, che implica anche corsi di avvicinamento alla Lingua dei segni italiana. “Ho chiesto ad Absolute la possibilità di finanziare il corso per gli addetti”. Un primo passo verso obiettivi più grandi: “Sono partita dal settore che più mi piace, anche perché noi barman lavoriamo in contesti rumorosi dove la lingua dei segni potrebbe essere molto utile, al di là di ipotetici clienti sordi, ma vorrei fare qualcosa per una loro introduzione al mondo del lavoro, magari proprio dietro a un bancone: considerate che assaporano in modo diverso, hanno un gusto e un olfatto più sviluppati, il che, nel nostro mondo, è un valore aggiunto”. Giulia non è sola in questa lotta volta alla sensibilizzazione, pensiamo al nuovo progetto ristorativo a Garbatella, OneSense, un luogo di inclusione e integrazione tra il mondo degli udenti e dei sordi.

L’appello di Giulia.
La barmaid non perde poi l’occasione per fare un appello accorato. “Quella dei segni è una lingua – addirittura ci sono i dialetti – ha una sua struttura morfosintattica, come l’italiano, ed è per questo che deve essere riconosciuta. L’Italia, insieme al Lussemburgo, è l’unico paese europeo a non riconoscerla nonostante la Convenzione Onu sui Diritti delle persone con disabilità, che tra le altre cose prevede l’adozione delle lingue dei segni. Perché? Perché riconoscerla come lingua significherebbe dare più servizi, penso per esempio all’interprete obbligatorio negli ospedali – tutt’oggi i sordi si fanno capire attraverso un iPad! – e i servizi costano”. Ci uniamo all’appello di Giulia, con la speranza che il ddl voluto dal relatore Francesco Russo (Pd), che stabiliva il riconoscimento della Lis, non finisca nel dimenticatoio.

a cura di Annalisa Zordan

Fonte: Gambero Rosso.it del 16-07-2018