Coronavirus. «La partita della vita», la storia del giornalista Vito Romaniello sopravvissuto alla Covid-19

28 OTTOBRE 2020 – di David Puente

Il collega giornalista ci racconta, attraverso le interviste ai medici che gli hanno salvato la vita, la sua esperienza in ospedale e il ritorno alla normalità.

Eravamo in piena emergenza Covid19, in Lombardia c’era una condizione invivibile da tutti i punti di vista e il rischio di contagio si sentiva nell’aria. C’era tanta paura, bisognava restare a casa per non rendere vani i sacrifici che medici e operatori sanitari stavano compiendo per salvare le vite dei pazienti ospedalizzati a causa di questa nuova malattia. Un giorno è successo anche a un collega giornalista, Vito Romaniello.Vito collaborava insieme a me e Valentina Petrini al programma televisivo Fake – La Fabbrica delle Notizie, in onda su Canale Nove. Stava lavorando in redazione quando improvvisamente decise di tornare a casa, non si sentiva bene ed era meglio levare le tende per sicurezza. Poco dopo arrivò quella brutta, spaventosa notizia che nessuno di noi voleva nemmeno immaginare: Vito venne ricoverato in terapia intensiva, aveva la Covid.

Il programma venne ovviamente stoppato, non potevamo continuare ed eravamo tutti preoccupati per lui, soprattutto perché ad un certo punto scoprimmo che era stato sottoposto a coma farmacologico e non sapevamo quando e se si sarebbe risvegliato.

La partita della vita
Come giornalista sportivo non poteva che intitolare il suo racconto «La partita della vita» dove non mancano i riferimenti al calcio:

«Sardegna, 3 Febbraio 2020, a Sassari e Alghero per girare alcune interviste storico-sportive. Accompagnato da un paio di amici. 13 febbraio 2020, a Sassuolo per incontrare il centravanti Ciccio Caputo. È bello girare l’Italia e parlare di sport, territorio, prodotti tipici. Anche troppo. 10 marzo 2020, passa meno di un mese e lo scenario è completamente diverso: un letto di ospedale nella Terapia Intensiva dell’ospedale di Varese. Di fronte c’è un avversario scorretto e bastardo, che si traveste da raffreddore, aggira le tue difese e colpisce i polmoni. Si chiama Covid 19 e mi ha appena trafitto».

«La squadra è generosa e preparata, forte e determinata. Oss, infermieri, medici e anestesisti combattono per bloccare il virus. Quindici giorni di coma farmacologico e poi il risveglio. Il risultato è riacciuffato. Sembrano buone le probabilità di riuscire a spuntarla. Il nemico non demorde, anzi. Subentra una polmonite, funziona un quarto del polmone sinistro, intubato una seconda volta. Il virus ha di nuovo la meglio. Tutti si battono per evitare la tracheotomia, farmi respirare con una cannula infilata direttamente in gola».

«Nel mondo dei sogni in cui ho trovato rifugio mi rendo conto per la prima volta di essere in ospedale. E non sono solo. Le preghiere di chi mi vuole bene, i pensieri di parenti, amici, colleghi… in quella fase REM sento il loro sostegno. Mi devo svegliare. Ho ancora troppe cose da fare. Riapro gli occhi, un colpo di reni quando tutto sembra ormai perduto. Il risultato è nuovamente in equilibrio. Una settimana di osservazione sempre in Terapia Intensiva, stavolta la difesa regge. Posso essere trasferito in Pneumologia e cominciare la riabilitazione. La partita è vinta».

«Sento un fastidio sul petto, dove avevo attaccati i cateteri, vorrei grattarmi. Non riesco a muovere le braccia. Chiedo aiuto, le parole non escono. Vorrei farmi sentire, non ho fiato. Il bisbiglio è incomprensibile. Arrivano in due per girarmi sull’altro fianco, da solo non riesco neppure a spostarmi nel letto. Con la testa sono in piedi, in realtà non sollevo neanche un dito. Quattro settimane di piccoli movimenti prima del trasferimento in un’altra clinica, a Cunardo, in provincia di Varese, campo nuovo, partita vecchia. Mi faccio accompagnare alla finestra della stanza, al secondo piano. Riesco a vedere sulla strada la mia famiglia. Sono passati più di due mesi da quando l’ambulanza mi ha portato via».

«Vorrei abbracciare mia moglie Daniela, stringere forte i miei ragazzi Luca e Simona, non è possibile. Sento una fiammata in petto, un brivido lungo la schiena. Avverto una carica improvvisa e potente. Stando al protocollo occorrono quattro settimane di fisioterapia per potermi muovere in maniera autonoma. Troppe. Dieci giorni per alzarmi, passare dalla sedia a rotelle al girello, dalle stampelle al bastone. Il 4 giugno esco con le mie gambe da quella porta. Si torna a casa».

 

Fonte al link: https://www.open.online/2020/10/28/coronavirus-partita-vita-storia-giornalista-vito-romaniello-covid-19-video/